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L'urlo degli studenti del Russell: CI SIAMO FATTI SENTIRE, ORA ASCOLTATECI

Una situazione complessa, sofferente quella che stiamo vivendo. Una situazione talmente articolata che è difficile trovare le parole giuste per descriverla, perché ognuno la sta vivendo intensamente a modo proprio. Perché questa pandemia, in fondo, è tante cose. Per alcuni è una rivincita della natura, per altri una rivalsa personale, una congiura economica, una punizione divina o un atto di guerra. Per la maggior parte è stato un periodo per rimettere in discussione la propria vita, per molti purtroppo è stato tempo di lotte e sofferenze, un periodo di perdita. Una situazione in cui il mondo ha messo un freno e ha imposto a tutti di fermarci. Una situazione che ci ha spinto a fare domande su certezze che credevamo ordinarie ma che in un soffio sono crollate. Un periodo difficile che ha spinto tutti a riflettere e a rivalutare ciò che davamo per scontato: il contatto, la serenità, la socialità, la quotidianità. Nelle vite di ognuno di noi è avvenuto un drastico cambiamento e un forte impatto ha inciso su tutto ciò che ci circonda.

Tutti stiamo risentendo della pesante e dolorante situazione, specie noi studenti.

“La scuola ai tempi del Covid”, una tematica che probabilmente già dall’inizio non è stata trattata con il giusto valore che meritava. Agli antichi e drammatici problemi che la scuola tuttora porta avanti, se ne sono aggiunti di nuovi e ben peggiori, generando così un carburante che sta già infiammando il nostro sistema d’istruzione. Data la situazione di emergenza, la scuola non ha avuto un ruolo preminente nelle politiche nazionali e locali. Come se l’istruzione fosse un abbellimento e non un pilastro della società. Data questa triste consapevolezza, studenti e docenti hanno deciso di adattarsi alla didattica a distanza (DAD), che senza dubbio sembra ancora oggi dopo un anno dalla presenza in classe, l’unica soluzione possibile per continuare il percorso educativo e formativo in piena sicurezza, senza ostacolare il proseguimento delle lezioni ma soprattutto tutelando la salute di ognuno di noi. Ma come dichiarato dalla stessa ministra dell’istruzione, Lucia Azzolina, la DAD non funziona più. Perché nonostante ci abbia permesso di proseguire con i programmi formativi, ha creato una forte situazione di disagio emozionale, ha messo in dubbio la predisposizione psicologica dell’apprendimento e l’inclusività degli studenti all’interno delle rispettive “classi virtuali”. Quella che doveva essere “un’azione strategica di compensazione e sostegno agli alunni” è diventata parte integrante (e date le condizioni attuali a mio parere necessaria) della formazione scolastica. Questo perché nel periodo di distanziamento fisico dalla scuola non si è riusciti a volgere uno sguardo attento e lungimirante a come dovrebbe essere stata la scuola dopo il periodo di massima emergenza.

L’allontanamento dalla scuola doveva essere un’occasione per pensare e organizzare il ritorno in presenza (e le dinamiche correlate alla presenza in classe, come il potenziamento dei trasporti pubblici) in maniera strutturata e non improvvisata. Dopo un ritorno in presenza scolastica di breve durata a settembre in cui ha dominato la paura piuttosto che l’istruzione, abbiamo continuato le nostre lezioni da casa. Nonostante le varie e disorganizzate proposte degli ultimi mesi per un ritorno a scuola, alunni e insegnanti hanno deciso di attendere dei provvedimenti seri che garantissero la tutela della sicurezza in presenza, ma dei provvedimenti seri non sono stati mai attuati. Sono stati invece teorizzati rimedi indegni, probabilmente poco ragionati e messi in azione sull’organismo che tiene in vita la scuola: alunni e insegnanti. E se è vero che l’attesa aumenta il desiderio, la troppa attesa spesso assorbe l’entusiasmo. Ed è per questo che siamo stanchi. È per questo che noi alunni ci sentiamo disorientati, confusi, destabilizzati, trascurati. Catapultati in una frenetica corsa verso la fine dell’anno scolastico, una corsa in una strada tortuosa dove si è perso l’obiettivo principale: quello di prepararci, di formarci e arricchirci. Siamo affaticati nel correre continuamente verso la sola direzione cui siamo indirizzati: il voto. Stiamo svanendo dietro delle videocamere dove queste sensazioni non traspaiono e non possono essere comprese. I nostri pensieri vengono soppressi in un microfono spento.

Eppure, il desiderio causato dalla lunga attesa è di gran lunga superiore alla stanchezza causata dalla situazione; il desiderio di ritornare a studiare in sicurezza arde in ognuno di noi; la voglia di ritornare a confrontarsi e a vivere la scuola nella maniera più protetta aumenta ogni giorno di più. Come cantava Domenico Modugno: “La lontananza è come il vento: spegne i fuochi piccoli e accende quelli più grandi”, noi così ci siamo accesi e abbiamo deciso di farci sentire. Le voci degli studenti hanno ripreso vita attraverso dei megafoni nelle piazze, rimuovendo quei microfoni spenti delle videolezioni che non ci hanno permesso di parlare a lungo. Gli allievi hanno fatto sentire le proprie ragioni seppur dietro le mascherine, quelle stesse mascherine che a inizio anno scolastico spesso ci hanno ostacolato nell’intervento in classe in presenza. Altri hanno preferito protestare assentandosi unitariamente, nel silenzio, perché in questo contesto può valere più di mille parole. Ed è così che magicamente tutti noi ci siamo risentiti a scuola, ci siamo sentiti parte della stessa comunità che lotta per i propri obiettivi, ci siamo sentiti vicini anche se distanti. Ma come ogni legittimo messaggio che viene trasmesso, le interpretazioni possono essere innumerevoli. Spesso si reinterpreta un messaggio perché offuscati dalla propria ottica nell’analizzare la laboriosità della faccenda, spesso si reinterpreta per arrivare a ciò che ognuno vuole egoisticamente. Si è scatenata così una lotta non giustificata dove i partecipanti in gara non sono ancora chiari, dove il dibattito pubblico si è limitato alla divisione pro-DAD e no-DAD non considerando le disparate problematiche che sono emerse con l’emergenza. Ma siamo noi i veri partecipanti di questa lotta e piuttosto che focalizzare l’attenzione sull’avversario, dobbiamo concentrarci sul premio da vincere: i nostri diritti. Il diritto di apprendere in sicurezza, la tutela della nostra salute (e non solo all’interno delle rispettive classi), la partecipazione attiva e responsabile alla vita scolastica, la possibilità di esprimere la propria opinione nei casi in cui una decisione influisca in modo rilevante sull’organizzazione della scuola. Come dicevo inizialmente è una situazione complessa e che può avere infiniti risvolti che potranno non corrispondere alle nostre aspettative. Ciò che tutti abbiamo compreso e di cui siamo certi, è che è inutile continuare a spendere forze ed energie nella ricerca dei colpevoli, è inutile creare scontri interni se lo scopo da raggiungere è lo stesso, è inutile continuare a lamentarsi se non si è disposti ad agire. È invece necessaria l’unione di tutti noi studenti e docenti indipendentemente dalle decisioni che verranno prese e dagli imprevisti che si possono presentare. È necessario l’ascolto e la comprensione, il supporto e la solidarietà. Concludo con una frase celebre dell’imprenditore statunitense Henry Ford che spero faccia riflettere tutti come ha fatto riflettere me: “Mettersi insieme è un inizio, rimanere insieme è un progresso, lavorare insieme un successo.” Indipendentemente dal successo che potrà essere ottenuto o meno, dobbiamo lavorare insieme. Perché ora più che mai abbiamo bisogno l’uno dell’altro, abbiamo bisogno di cominciare a costruire per quello che sarà il futuro ma soprattutto abbiamo bisogno dell’unica certezza che abbiamo a disposizione: noi studenti.

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