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Dalla libertà di espressione...

(Parte 1)

È incredibile pensare che solo un mese fa il mondo ha assistito esterrefatto all’assalto al Campidoglio americano da parte di un piccolo gruppo di estremisti di destra. In tanti hanno definito l’azione un attacco alla democrazia, ma siamo arrivati a febbraio e il nuovo presidente Joseph R. Biden ha giurato e pacificamente preso il potere. Sarà stata una minaccia alla democrazia, ma una minaccia molto breve, che, alla fine, non ha portato alla rovina della democrazia americana, come dicevano alcuni esageratamente. Però, anche se l’insurrezione alla capitale non è riuscita a fermare i processi democratici americani, ha portato con sé delle conseguenze molto gravi e pericolose per tutto il mondo. Questa conseguenza è la scusa che gli estremisti hanno dato alla sinistra e ai social media per iniziare a imporsi sulla libertà di espressione e di parola dei cittadini degli Stati Uniti, specificamente sui social media.

Onestamente, non è una cosa nuova, succede già da tanti anni che Facebook e Twitter ostacolano la diffusione del pensiero conservatore sulle proprie piattaforme attraverso shadowban, cioè la limitazione della visione di specifici contenuti. A volte sono dei ban veri i propri, com’è successo nel caso dell’ex presidente Donald Trump. Nel 2018 già c’erano stati grandi scontri fra Twitter e tanti personaggi conservatori colpiti da shadowban, che, come riferito da Vice News, “dicevano da mesi (…) che le aziende Big Tech stessero censurando voci di destra”. In più i “fact checkers”, ovvero gli impiegati dai social media, sono particolarmente mal visti dai conservatori, che li considerano di parte e difensori della sinistra. Questa è un’idea non troppo estrema che è stata osservata in alcuni studi come questo del George Mason University Center for Media and Public Affairs sul sito di fact checkers PolitiFact.org.

In questa fase abbiamo visto sempre più scandali legati ai social media che si sono imposti sempre di più sulla libertà d’espressione del popolo americano. Esempio di un caso importante può essere lo scontro tra Twitter e the New York Post, che è stato bannato per aver pubblicato un articolo sul contenuto scandaloso del computer del figlio del presidente Biden, e insieme alla NYP è stato bannato chiunque abbia condiviso l’articolo. Possiamo anche considerare Facebook che ha vietato pubblicità politiche nella settimana prima dell’elezione e che ha elevato fonti “di qualità” dopo l’elezione, favorendo siti come CNN, The New York Times, NPR, che sono tutti prevalentemente di sinistra, sfavorendo siti apertamente di parte.

Però il peggio è iniziato con il ban dell’ex presidente Trump non solo da Facebook e Twitter, ma anche da praticamente ogni altro social media, creando una premessa molto spaventosa per il futuro. Il problema è che i social media non si sono fermati a Trump, ma hanno usato l’insurrezione come una scusa per iniziare a bannare conservatori per aver “incitato la violenza”, anche quando non è stato così, perché la loro agenda politica ai giorni d’oggi è che chi essendo conservatore segue Trump, ance se non gli piace ma ha valori conservatori, è come quelli che hanno messo sotto assedio il campidoglio. Per i social chi segue Trump è come gli assaltatori di Capitol Hill uno di loro, se in più questa persona ha votato Trump è assolutamente complice in tutto e va. È un modo di fare scorretto, che spezza in due la nazione americana, schierando i cittadini inutilmente l’uno contro l’altro. Ma ogni crisi va sfruttata ed è quello che stiamo vedendo oggi.


“We know we are focused on one account (@realDonaldTrump) right now, but this is going to be much bigger than just one account and it’s going to go on for much longer than just this day, this week, and the next few weeks and go on beyond the inauguration…”


Questa situazione è solo agli inizi e quindi bisogna chiedersi perché lo stanno facendo? Tutto questo è veramente spinto dal desiderio di evitare la violenza politica? Durante tutto il 2020 l’organizzazione BLM ha organizzato su Twitter molte sommosse anche vuiolente e Twitter non ha fatto assolutamente niente. Twitter permette al Partito Comunista cinese di usare la sua piattaforma, anche se stanno attivamente commettendo genocidi e rinchiudendo le persone nei campi di concentramento.


Ma, hanno il diritto di ostacolare la libertà di espressione? Si… e no. Le leggi americane fanno una grande differenza fra i pubblicatori e i forum pubblici: i pubblicatori, come questo giornale della scuola, scelgono cosa vogliono e non vogliono postare sui loro siti e perciò possono essere tenuti legalmente responsabili per ciò che avviene su di essi; invece i forum pubblici non possono essere ritenuti legalmente responsabili per ciò che avviene su di essi, ma non possono violare i diritti del primo emendamento, che permette la libertà di espressione. I social media come Youtube, Facebook e Twitter si definiscono forum pubblici e, grazie alla sezione 230 del Communications Decency Act del 1996, non sono soggetti a responsabilità per i contenuti messi sui loro siti. Ma quando cercano di scegliere chi può e chi non può stare sui loro siti la questione si complica. Vogliono lo stato legale di forum pubblico ma con la possibilità di scegliere chi può e chi non può essere sentito. Il sito conservatore di PragerU ho combattuto a lungo una causa legale sostenendo che i social come Youtube, Twitter e Facebook non hanno il diritto di bloccare i loro contenuti, come spiegano nel loro video: PragerU v. Youtube. Nonostante tutto questo, hanno perso la loro causa legale l’anno scorso perché secondo la giudice Californiana M. Margaret McKeown, il primo ammendamento, si applica solo al governo e non ad aziende private.


Quindi secondo il governo californiano i social media hanno il diritto di fare tutto questo, e allora cosa dovrebbero fare i conservatori che si sentono ostacolati? Se vengono censurati su Twitter e Facebook possono andare a fare una piattaforma loro no? Ci hanno provato… e non ci sono riusciti. A causa del sentimento di discriminazione sentito da tanti conservatori, un nuovo social media ha iniziato a emergere: Parler, che dopo il ban del presidente Trump è diventata l’app più scaricata sull’App Store, ma poi è stata bannata sia dall’App Store che dal Play Store di Google un paio di giorni dopo la sommossa alla capitale. E per altro al danno si aggiunge anche la beffa, sono stati rimossi da Amazon Web Services, perdendo anche i loro server.

La parte triste è che tutto questo viene incoraggiato e sostenuto da tantissime persone. Uno dei host di CNN, Brian Stelter, ha affermato che “freedom of speech is different than freedom of reach” chiamando per la censura di Fox News, canale di notizie tendente alla destra, dicendo che dobbiamo avere un modello che riduce i danni della disinformazione per avere un’ambiente “pulita”. Ma cos’è la libertà di espressione senza la libertà di condividere ciò che si pensa e ciò che si crede? È come dire che puoi praticare la tua religione, ma solo dentro casa con le tende chiuse. La libertà di esprimersi è la libertà più cara che abbiamo, perché senza essa si perde ogni altro diritto. Dire che non dobbiamo avere la libertà di condividere i pensieri scorretti o falsi con gli altri, è un passo verso la morte, soprattutto in un mondo in cui la verità sembra cambiare quotidianamente, e in cui sta svanendo pian piano il sentimento di una verità universale a favore di tantissime piccole verità individuali. Non ogni pensiero è valido, alcuni pensieri sono più validi degli altri, ma ogni pensiero ha il diritto di essere pensato ed espresso. Le idee di un nazista non sono valide, sono sbagliate, ma io credo che ha ogni diritto di credere quello che vuole credere… e, ovviamente, di subire le conseguenze del proprio pensiero se porta al danno degli altri.

La libertà di parlare e di condividere ciò che pensiamo è la libertà più importante che abbiamo e da lei nasce ogni altro diritto. Una società ricca è una società in cui circolano tutte le idee e in cui c’è un confronto continuo fra idee opposte in modo da migliorare ciò che viene proposto e costruire verso l’alto, non una società in cui possono circolare solo le idee considerate “buone” e “non inquinanti” da un gruppo di grandi politici e CEO. Non ogni idea è buona, ma ogni idea ha il diritto di esistere, perché solo così possiamo avere una società veramente libera.

Per un italiano tutto questo potrebbe sembrare un problema americano che non ha niente a che fare con l’Italia. Ma se i social media riescono a togliere la voce del presidente della nazione più forte del mondo, cosa li fermerà se vorranno intervenire in altri posti? È per questo che così tanti capi di nazioni hanno espresso il loro dispiacere nella decisione dei social. Forse ora è solo un problema americano, ma ha il potenziale di andare oltre, e se noi non siamo pronti a difendere la libertà di espressione di ogni individuo, persino quelli con cui non siamo minimamente d’accordo, torniamo indietro perdendo i progressi per cui hanno combattuto tantissimi prima di noi.

La voce è l’arma più forte che abbiamo, come faremo a difenderci se ci viene tolto?


To be continued...

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