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Da SanPa alle attuali politiche sulle droghe

La recente uscita della docu-serie “SanPa: luci e tenebre di San Patrignano” su Netflix ha riacceso sui media e sui social la polemica in merito ai metodi usati a San Patrignano per la riabilitazione dei tossicodipendenti.

La serie narra la storia della comunità di recupero dalla sua nascita nel 1978 al 1995, anno della morte del suo fondatore, Vincenzo Muccioli. Ad oggi San Patrignano è completamente diversa da quella comunità nata quasi per caso a Coriano, in provincia di Rimini, alla fine degli anni ‘70 e ciò che rimane attuale è il dibattito sulle politiche sulle droghe adottate dallo Stato italiano. Purtroppo la serie, però, non ha contribuito a riaprire questo dibattito ormai oscurato da decenni. Quello che la critica e i politici del nostro Paese hanno fatto è stato limitarsi a commentare i metodi di San Patrignano sotto la guida di Vincenzo Muccioli e non hanno perso occasione di schierarsi, come spesso è accaduto, pro o contro una realtà che oggi è totalmente diversa. Il discorso in merito alle politiche sulle droghe attuate, che nel nostro Paese non hanno portato a una soluzione definitiva a un problema che ancora c’è, non è stato affrontato da quasi nessuno. Il problema delle tossicodipendenze, però, come già detto, c’è oggi quanto c’era ieri. Certo è che nelle nostre città non vediamo più gli “zombie” in astinenza da eroina, come poteva accadere negli anni ’70 e ’80. Il consumo di sostanze stupefacenti è certamente cambiato nelle modalità di assunzione e nel tipo di sostanze assunte: una volta gli eroinomani usavano le siringhe, spesso sé le scambiavano contagiandosi con il virus dell’HIV, oggi l’eroina viene perlopiù fumata; se una volta la cocaina non era alla portata di tutti, oggi i prezzi sono molto più bassi e i tossicodipendenti spesso devono confrontarsi con più di una dipendenza lo stesso momento. Rispetto alla serie su San Patrignano c’è da dire che in quei pochi minuti in cui si parla del rapporto di Muccioli con la politica si nomina il suo legame con Marco Pannella. Difatti nel 1995 il Coordinamento Radicale Antiproibizionista (CORA) tenne il suo congresso nella comunità di San Patrignano. Muccioli e i radicali del CORA avevano idee completamente diverse rispetto a come la politica sulle droghe doveva essere gestita. Pannella credeva che l’unica via percorribile fosse far rientrare le droghe in contesto di legalità e di controllo da parte dello Stato attraverso la legalizzazione, Muccioli, invece, aveva una visione proibizionista e non accettava che gli stessi ragazzi che lui accoglieva a San Patrignano, perché distrutti dell’eroina, potessero continuare a consumare non più attraverso il mercato della criminalità organizzata, ma attraverso quello dello Stato. Muccioli era contrario a quello che più recentemente Matteo Salvini ha spesso definito “lo Stato spacciatore”. In più di un’occasione, però, Pannella disse a Muccioli: “Io mi occupo di una guerra, tu ti occupi dei suoi feriti e dei suoi mutilati.” E a questo punto è importante, se non fondamentale, riprendere quella domanda alla quale gli iscritti al CORA avevano dato una risposta, la domanda era “Antimafia?” e la risposta “Antiproibizionismo!”. I radicali del CORA, e più in generale tutti gli antiproibizionisti, erano arrivati a chiedersi a metà degli anni novanta, dopo più di un decennio di lotta all’eroina, se combattere la mafia per eliminare dalle strade la droga che massacrava i giovani fosse sufficiente. La risposta che si erano dati, visti gli scarsi risultati ottenuti dallo Stato, era che no, non bastava e quindi l’unica strada ancora percorribile era l’antiproibizionismo, l’unica alternativa era legalizzare le sostanze stupefacenti. Spesso viene impropriamente usato il termine “liberalizzare”, ma c’è una differenza abissale tra liberalizzare e legalizzare. Il motivo è semplice: le droghe sono già liberalizzate, le droghe sono alla portata di tutti a qualsiasi ora del giorno e della notte, il mercato delle droghe è l’unico che non chiude mai. Legalizzare, invece, significa portare sotto il controllo dello Stato qualcosa che al momento è nelle mani della criminalità organizzata. Le conseguenze del mercato gestito dalla criminalità sono infinite, una su tutte è l’impossibilità di garantire la purezza delle sostanze assunte, questo aumenta di molto la probabilità di assuefazione e di incorrere in un’overdose. Ci sono Paesi che hanno legalizzato la cannabis e i suoi derivati e tra i benefici c’è che chi consuma cannabis non è più costretto a rivolgersi agli spacciatori che vendono droghe come cocaina e eroina e ciò riduce drasticamente le possibilità che queste persone possano entrare nel giro delle droghe pesanti. La Svizzera, invece, ha legalizzato tutte le droghe, anche le più pericolose e seppur molti dicano che non possa essere un esempio perché è una realtà completamente diversa, ad oggi la verità è che in Svizzera non si vive tra gli zombie e gli allucinati, bensì in un Paese tra i più all’avanguardia in Europa, mentre da noi milioni e milioni di persone sono ancora costrette a comprare le sostanze dalla criminalità. In Svizzera il problema delle tossicodipendenze è affrontato con tranquillità e apertura mentale, le persone vengono curate e non vivono ai margini della società, mentre noi ancora parliamo di Stato spacciatore. Io, piuttosto, direi che quello svizzero è uno Stato salvatore.

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