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William Pezzulo, un esempio di violenza di genere.

Sentiamo spesso notizie sulla violenza sulle donne e sul femminicidio.

Sappiamo che col termine violenza si indica l’atto che faccia uso della forza fisica, e aggiungerei psicologica, per recare danno ad altri.

Benché si parli molto più spesso delle violenze a carico della donna, fatte dagli uomini, esiste una percentuale in cui sono gli uomini a subire violenze.

Affermare che anche gli uomini subiscano violenze è un’affermazione che quasi si stenta a credere, probabilmente a causa degli stereotipi e della mascolinità tossica che “regna” nella nostra società.

Eppure, sono 3 milioni 574 mila gli uomini che hanno subito molestie di questo tipo almeno una volta nella vita, 1 milione 274 mila negli ultimi 3 anni.

Un dato inferiore a quello relativo alle donne, ma pur sempre esistente.

L’ISTAT, in ogni caso, chiarisce che le forme di molestia più diffuse tra uomini e donne non sono così differenti, sebbene lo siano secondo l’istituto di statistica quantitativamente: al primo posto tra le molestie ci sono quelle verbali, seguite dai pedinamenti, dall’esibizionismo per arrivare alle molestie fisiche. Sia per uomini, sia per donne.

Gli uomini, molto spesso, non denunciano a causa dello stereotipo di virilità e della quasi certezza di non essere creduti.

Non è il caso di William Pezzullo, vittima dell’aggressione avvenuta la sera del 22 settembre 2012; la ragazza Elena Perotti gli lanciò un secchio d’acido addosso con l’aiuto del complice Dario Bertelli.


Chissà lui cosa le ha fatto”, è quello che staremmo pensando tutti, non riflettendo però che una tale affermazione in caso di omicidio o violenza su un uomo è allo stesso infimo livello del “chissà però cosa indossava” in caso di stupro su una donna.

Perciò invito tutti ad analizzare la storia di questo ragazzo, oggi invalido al 100%, da più vicino.


William Pezzullo residente a Brescia conosce Elena Perrotti, ragazza di 26 anni nell’anno 2012.

Dopo circa 5 o 6 mesi dalla conoscenza il ragazzo scopre che Elena lo tradiva – ha raccontato in trasmissione televisiva. Sono cominciati così i litigi dove Elena si è presentata per la persona che era. “Faceva la pugile e aveva il vizio di alzare le mani con me” racconta William con aria sommossa e intimorita.

William decide allora di lasciare Elena, ma dopo un paio di settimane lei si rifà viva e gli fa sapere di aspettare un bambino da lui.

Intenerito dal bambino torna con lei ma dopo aver scoperto che la gravidanza si era interrotta naturalmente, le cose tornano a peggiorare, esattamente come prima. Il ragazzo la lascia per la seconda volta e lei per la seconda volta, gli dice di essere nuovamente incinta. Questa volta William non cede.

Da quel momento inizia un vero e proprio stalking, tra pedinamenti ossessivi e danneggiamenti continui alla sua macchina per otto lunghissimi mesi, fino a quella maledetta sera, in cui aiutata da un amico buttafuori gli scaglia in piena faccia un secchio contenente acido solforico.

L’inizio di un incubo che ancora oggi sembra non voler terminare.

Infatti, William in questi anni ha dovuto affrontare oltre al processo anche numerosi interventi chirurgici e di ricostruzione del volto, spiega che per pagare quelle spese, la sua famiglia è rimasta praticamente sul lastrico, arrivando a svendere l’attività di famiglia.

William sta ancora lottando, vivere per lui è diventato impossibile.

Non può esporsi per lungo tempo alla luce del sole e purtroppo si trova costretto a rimanere a casa poiché si vergogna del suo aspetto fisico.

William con la sua storia vuole sicuramente mandare un messaggio: la violenza è sempre violenza.

Forse la cosa peggiore che si possa fare è etichettarla, cercare di darle un genere.

Donne, uomini, transgender, sono tutti essere umani e come tali possibili vittime di violenza, così come possibili carnefici.

Probabilmente l’uomo è vittima di una informazione a senso unico, che procede per stereotipi e pregiudizi, mostrando la donna come vittima e lui come carnefice, sono due fenomeni diversi ma che vanno entrambi combattuti.

Il centro di tutto deve essere sempre la persona, non uomo, non donna, perché la violenza non conosce genere.

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