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Tutti in piedi (politicamente scorretta)

Non tutti i film che trattano di temi importanti, solitamente evitati da chiunque, riescono a dimostrare l’abilità nel parlarne adeguatamente.

Specialmente le commedie che tendono a trattare temi delicati in maniera umoristica, spesso possono cadere nell’incomprensione da parte dell’osservatore.

La commedia francese "Tutti in piedi", con estrema abilità del produttore e anche interpretatore all’interno del film Frank Dubosc, riesce a gestire una commedia sensibile, divertente e se possiamo definirla tale “politicamente scorretta”.

Politicamente scorretta perché questa commedia attraversa con un sorriso e una risata un territorio minato e spesso evitato: la disabilità. Un tema sul quale non si dovrebbe ridere, per questo la commedia è considerata scorretta. Ma l’intento del produttore, regista e attore è tutt’altro.

Frank Dubosc entra in un’ottica che sfida tutti i tabù con un sorriso che supera barriere e ipocrisie sociali.

Il film “Tutti in piedi” parla di Jocelyn, un uomo di affari, un seduttore e professionista nel conquistare le donne.

Un giorno viene scambiato per disabile dalla vicina di casa della madre defunta, una donna di estrema eleganza: Julie.

Per conquistarla Jocelyn decide di approfittare del fraintendimento ma l’equivoco, che sembra essere un gioco per l’attore, diventa complicato quando Julie gli presenta sua sorella Florence, costretta su una sedia a rotelle a seguito di un incidente stradale.

Una finzione che finisce per sfuggire di mano al proprio artefice, nel momento in cui i sentimenti intervengono, è riconducibile ad un’amplia categoria del genere della commedia. Una storia sentita e risentita, è vero, così come i personaggi stereotipati ma la commedia non eccelle per la creatività ma per la riflessione che innesca guardandola.

Tutti in piedi vuole azzerare gli stereotipi delle persone disabili, vuole eliminare definitivamente le varie e avarie sfaccettature comportamentali che gli altri individui adottano qualora si trovano a rapportarsi con una persona avente una disabilità, mettendo sullo stesso piano l’attore “finto-disabile” e l’attrice che ha un handicap.

Il regista vuole una volta per tutte abolire la celata compassione e il pietismo inopportuno, a volte spontaneo, che può risultare offensivo poiché spesso deriva dalla falsa convinzione che la vita di un uomo o di una donna con handicap debba per forza essere triste, insoddisfacente, misera, grigia e mancante.

“Chi è condannato a rimanere seduto ci appare diverso da noi ma in realtà non lo è. Dobbiamo interessarci alle persone per come sono dentro” […] “Poco importa se fai la pornoattrice, se hai quattro Rolex al polso, se hai appena vinto un premio Nobel o sei hai conseguito la decima medaglia d’oro alle Paralimpiadi, per molti una persona con un handicap rimane un essere angelico da compatire, stimare come un eroe intrepido anche se è al cesso che si sta lavando i denti” queste sono le parole di Frank Dubosc che ha voluto imprimere un messaggio forte in una commedia che nonostante si faccia carico di problematiche importanti non cade in pietismi e moralismi che tendenzialmente si fanno.

Il film pone fine a quella netta divisione tra i “noi e loro”, riprendendo il tema della disabilità, facendolo proprio e riponendolo all'interno della normalità con un sorriso e un po’ d’ironia, spesso l’unico modo per eliminare una volta del tutto le distinzioni che sono all'origine della categorizzazione.

Emancipare, liberare la disabilità riconoscendo che è parte stessa della vita, è una possibilità reale appartenente a ogni persona. Ed ecco che allora si parla di giustizia, di riscatto dovuto al disabile, non più di sensibilizzazione o peggio ancora di nauseabonda compassione.

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