Tutta l'importanza del talento nel calcio
- Federico Roberti
- 28 apr 2020
- Tempo di lettura: 4 min
Parlare del talento porta a percorrere due strade diverse tra loro, apparentemente slegate e parallele, senza alcun ponte che le colleghi e le unisca. Eppure, non è così. Il talento è un discorso così ampio e vasto da ribaltare le leggi matematiche e rendere due rette parallele tangenti. Perché da qualche parte, i due significati principali del talento, si toccano e si amalgamano.
Il primo significato ci riporta nell'antichità, quando il talento era un peso di riferimento per il commercio; una misura di valore pari alla corrispondente quantità di metallo prezioso. Si legge di esso nell'Iliade, quando Achille dà mezzo talento d'oro ad Antiloco come premio, o anche nella Bibbia, quando i talenti d'oro, d'argento, di bronzo e di ferro vengono donati per la costruzione del primo tempio di Gerusalemme.
E poi c'è il secondo significato del talento. Quello che nasce con l'uomo, anzi forse anche prima, risultando essere una qualità innata. Il talento è la capacità di vedere dove gli altri non riescono neppure ad immaginare, di precedere ogni pensiero altrui e di tramutare in facile ciò che esternamente viene concepito come impossibile. Ed è qui che le due accezioni di talento si mischiano, si uniscono e diventano l'una il completamento dell'altra: il talento, sia esso di qualsiasi genere, è una materia preziosa, universalmente riconosciuta ma non omologata. Non tutti i possessori di talento lo possiedono nelle stesse quantità né dello stesso genere.
E ciò caratterizza la vita, proprio come il calcio. Ogni giorno vengono scritte montagne di parole su giovani giocatori ricchi di talento visti come prossimi campioni. Ma talento non è sinonimo di successo.
SPADA DI DAMOCLE
Pensando al talento si immaginano una serie di porte che si spalancano senza alcuno sforzo. Mani che stringono altre mani, penne che firmano contratti milionari e fiumi di soldi che inondano la vita. Ma non è così. Perché possedere talento non ha come diretta conseguenza una vita trasbordante di successi. Prima di arrivare ad essa ci sono un'illimitata serie di gradini da salire con fatica e determinazione.
Il caso più lampante degli ultimi anni ha un nome ed un cognome: Mario Balotelli. Balotelli è una delle fonti di talento più rigogliose dell'ultimo decennio, specie in Italia, ma non per questo è diventato un campione assoluto. Basti pensare che Super Mario ha cominciato a segnare con regolarità da quando aveva appena 19 anni. I presupposti per una carriera sulla cresta dell'onda del calcio mondiale erano concreti e tangibili, eppure invece di costruirsi un futuro all'altezza delle aspettative è naufragato. E questa è la prova che il talento da solo non basta.
O meglio, basta, ma va allenato. Va approfondito ed ampliato, sempre arricchito con nuove abilità. Che devono essere tecniche, tattiche, sia a livello individuale che corale, ma soprattutto psicologiche. Il talento nei piedi va affiancato da una testa determinata e ben incastonata tra le spalle, lì dove la realtà è più influente dei sogni.
"Il talento è una fonte da cui sgorga acqua sempre nuova. Ma questa fonte perde ogni valore se non se ne fa il giusto uso."
Il concetto di talento sprecato viene brillantemente riassunto da queste parole di Ludwig Wittgenstein, filosofo austriaco di inizio '900.
Questa è la facciata oscura del talento. Quella soffocante e condannante. Spesso ci si dimentica di sviscerarla, ma appare fondamentale per comprendere che talento e successo non sono i termini di un'equazione che dà sempre un risultato positivo. Perché, in fondo, il talento è una spada di Damocle, pronta da un momento all'altro a squarciare ogni speranza. È il prezzo da pagare se non si coltiva ciò che si possiede dalla nascita.
IL TALENTO COME ARTE
Ma c'è anche chi ce la fa. Chi riesce a sfuggire alla morsa mortale che si crea con l'etichetta di "talentuoso" attaccata all'anima. Potrebbe risultare fuori luogo parlare di Cristiano Ronaldo in questo ambito, ma così non è. Perché lui il talento se lo porta dietro dai tempi delle partitelle a Funchal. Lo ha portato con sé allo Sporting Lisbona, al Manchester United, al Real Madrid e negli ultimi tempi anche alla Juventus. Il suo successo l'ha costruito con perenni metamorfosi psicologiche, fisiche, caratteriali e tecniche. È stato in grado di ammaestrare il proprio talento, di nobilitarlo e quasi civilizzarlo, di renderlo un'opera d'arte fruibile per chiunque abbia mai osservato il pallone orbitare attorno al suo piede.
"Ci sono pittori che trasformano il sole in una macchia gialla, ma ci sono altri che con l'aiuto della loro arte e della loro intelligenza, trasformano una macchia gialla nel sole."
Parole di Pablo Picasso che racchiudono l'essenza del talento. Lui che dipingeva un'arte ai più incomprensibile e difficilmente apprezzabile semplicemente perché è da sempre andato oltre ciò che il solo occhio umano può carpire.
E questo è ciò che ha fatto Ronaldo e questo fa chi unisce l'immaginazione e la genialità al talento. Anche in un calcio tattico e più rigido come quello a cui siamo abituati oggi, certamente con meno spazio per l'estro rispetto al passato, la diversità del talento sta nel trovare riparo in una mente che pensa anarchicamente, che immagina fuori dagli schemi pur restando apparentemente ingabbiato nei dettami tattici.
Il filosofo tedesco Immanuel Kant parlava della filosofia come mezzo per uscire dalla minorità, quindi dalla mediocrità, dall'incapacità di pensare e vivere la propria vita indipendentemente, senza essere influenzati dagli altri. Allo stesso modo il talento permette di uscire dal livello comune, dalla sfera facilmente comprensibile e replicabile da tutti al fine di travalicare in ambiti accessibili a pochi.
Il talento è uno schizzo di colore su una parete bianca. Il rischio è quello di rovinare tutto il bello che è stato plasmato con le proprie mani sino a quel momento. Ma se si arriva fino in fondo con determinazione e disciplina, sarà un capolavoro d'arte universalmente riconosciuto.
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