top of page

SULLA MIA PELLE

“Te com’è che sei conciato così?” “So cascato dalle scale” “Quando la smetteremo de raccontà sempre sta stronzata delle scale?” “Quando le scale smetteranno da menacce” SULLA MIA PELLE, di Alessio Cremonini (2018) Non so se ci sia bisogno di scrivere di cosa si tratta questo film, in quanto credo che sia ormai un avvenimento di rilevanza nazionale, ma per i più disinformati, si tratta della storia biografica di quello che è successo a Stefano Cucchi, ingegnere di trentun anni, fermato e arrestato dai carabinieri il 15 ottobre del 2009 dopo un controllo dove viene trovato con dodici pezzi di fumo addosso, tre bustine di cocaina e qualche pasticca, tra cui quella di un medicinale. Un medicinale che Stefano usava poiché soffriva di epilessia (che gli viene sequestrato, insieme a tutte le altre sostanze che aveva con sé). Certo Stefano non era un santo, qualche errore lo aveva commesso, come tutti d’altronde. Ma Stefano non ha avuto la possibilità di imparare dai suoi errori, perché delle guardie hanno deciso che la loro divisa valeva più della sua vita. Stefano è morto da solo, in silenzio.

È morto chiuso in una cella dell’ospedale Sandro Pertini, in un triste giorno di fine ottobre.

Stefano ha chiuso gli occhi per sempre, ricoperto da grossi ematomi sul volto, con una mascella rotta, una frattura all’addome e al torace, con un’emorragia alla vescica e con delle vertebre rotte.

SULLA MIA PELLE : Una settimana, quella trascorsa da quando Stefano Cucchi viene arrestato a quando muore su un letto del Pertini, una settimana quella che viene messa in scena da Cremonini. Il film non è un capolavoro, non lo è perché registicamente non è perfetto, e probabilmente non ha nemmeno la pretesa di esserlo ma è un film importante, necessario a mio parere. È un film difficile, da realizzare e da guardare, perché nell’ora e mezza di immagini dalle tinte oscure, quello che traspare è il silenzio che fa muro contro la lotta. Nonostante il regista abbia ricostruito la vicenda nella maniera più imparziale possibile tramite tutti gli atti processuali e le testimonianze, io non credo che riuscirò a scrivere imparzialmente e oggettivamente di questa pellicola. Guardando il film la mia mente è stata svuotata da ogni pensiero critico, sopraffatta da un dolore impossibile da razionalizzare. Tutto quello che è successo è stata una storia di errori, soprusi, insicurezza, mancanza di empatia, di una società ancora troppo fredda e indifferente. E senza aver bisogno di puntualizzare cosa gli è stato inflitto in primis e da chi, i fatti come vengono raccontati nel film mostrano uno Stefano impaurito e malfidente nel rifiutare più volte le cure mediche, nell’aver timore di confessare il pestaggio per paura di ritorsioni, nel cercare una via d’uscita dal carcere ma anche dal dolore che lo tratteneva. In questo è stato molto bravo Alessandro Borghi che ha recitato magistralmente la figura di Stefano Cucchi non trasformando il suo personaggio in qualcosa di commovente e patetico, perché non c’era bisogno di un personaggio del genere, ma di un personaggio vero laddove la verità era ancora nascosta. Ci voleva un film come questo a mio parere, perché in un’Italia in cui vengono a mancare sempre più certezze, è necessario uno scossone, e purtroppo, nella situazione del nostro paese, la scossa la devi “imboccare”. Il film si attiene ai fatti, perché è giusto così, è per evitare l’inutile retorica di chi vuole necessariamente schierarsi dalla parte dei giusti, chiunque essi siano. Non è solo un film, è un’altra richiesta d’ascolto, che non pretende di accusare i singoli, che non punta il dito contro i pochi, ma contro lo Stato Italiano generale, contro la furbizia nel non testimoniare, nel voltarci dall’altra parte ogni volta che un uomo muore per un “errore dei giusti” (riferimento alle forze dell’ordine e ai medici che anche davanti a delle prove incontrovertibili preferiscono lavarsene le mani e credere alla “caduta dalle scale”) .

Non è solo un film, è un gesto emblematico di una situazione più grande di quello che rappresenta, di un silenzio più profondo che va oltre l’inosservanza delle regole e la sfacciataggine dell’abuso di potere, è la rappresentazione della stupidità collettiva di una comunità che è andata alla deriva per un solo secondo e giusto il tempo di essersene accorta, che ora è lì a dirsi: “SE SOLO POTESSI TORNARE INDIETRO”. So che molti di voi non vorrebbero mai vedere un film del genere, che sanno di cosa si parla, che hanno avuto i loro trascorsi, o che non vorrebbero vedere qualcosa che fa così male. Ma non possiamo pensare di poter migliorare noi stessi e il mondo se non facciamo nostro il dolore di chi ha sofferto. Abbiate coraggio.

Comentários


    ©2020 di Liceo B. Russell.

    bottom of page