PRATO DI MORE
- Andrea Scoscina
- 27 gen 2020
- Tempo di lettura: 2 min
Aggiornamento: 28 gen 2020
Da piccolo mi piaceva giocar con le more,
Infilzarle coi denti, per succhiarne il sapore.
Ma dal momento che poi le credevo morte,
Mi sdraiavo sul prato, e piangevo forte.
Amavo saltare tra i fiori in giardino,
Spiare le api, e salutare il vicino,
Sedermi sulla testa delle rose scarlatte,
Osservare il lattaio portarci il latte.
Ma un giorno, saltai così in alto,
Che vidi due uomini con tre fucili d'assalto.
Entraron nel mio giardino, insieme alla scorta,
E bussaron forte, tre volte alla mia porta.
Non una rosa
Mi lasciaron prender dalla mia stanza,
Dissero che lì c'eran giochi in abbondanza.
Che non avrei sentito la mancanza dei miei fiori,
Lì c'eran giardini affollati di colori.
Non fu quel Dio coi baffi a portarmi via,
A mettermi in fila seguendo la scia,
Ma il lattaio, il vicino che sempre salutavo,
A cui fu data una divisa senza colore,
E a cui fu promesso d'esser la razza superiore.
In quel giardino incantato imparai tanto,
A cercar i miei fiori strisciando nel fango,
A camminar eretto, con stretto un cappello,
E a far d'ogni uomo un mio fratello.
Quando ritornai, perché ritornai,
Il mio giardino non era più come lo lasciai.
Le mie more eran tutte seccate sul prato,
Dio era morto, ma l'inferno era passato.
Mamma, Papà, mi mancate tanto,
Io son tornato, forse per incanto.
Vi giuro curerò, e guarirò tutte le nostre piante,
Adesso la vita è diventata importante.
Pianterò dei semi, ve lo giuro su Cristo,
Che ci faccian asciugare questo sangue pisto,
Che s'è assopito sotto la pelle,
Che dorme nell'ombra, per paura delle stelle.
Pianterò dei semi, ma non per il mio giardino,
Ma per far sentire ogni uomo più vicino.
Ma no,
Non dimenticherò dove sono stato.
No, non lo farà nessuno.
Ch'adesso che Dio è morto,
Il Diavolo aspetta soltanto
Il momento più opportuno.
Ci vuol coraggio,
Troppo coraggio,
A vantarsi pietosi,
D'aver avuto la fortuna
D'esser nati tra i rosi.
Ci vuol coraggio,
Troppo coraggio,
Ad esser nati nel fango,
Ed in faccia al buon Dio scomparso,
Aver urlato "Comunque non ti piango".
Che l'mio sangue diventi il vostro sangue,
Che la mia storia vi tremi le gambe,
Che l'mio viso, solcato dal passato,
V'obblighi a creare un presente migliorato.
Ma credetemi non basterà
Soltanto un ricordo dipinto d'oro,
Ma mille bambini
Che in faccia al nuovo Dio urleranno in coro:
"Viva la vita, viva l'essere umano"
Mentre in un cerchio si daranno la mano.
Da piccolo mi piaceva giocar con le more,
Infilzarle coi denti, per succhiarne il sapore.
Ma dal momento che poi le credevo morte,
Mi sdraiavo sul prato, e piangevo forte.
Ma da quando sono tornato,
Non m'azzardo più
A violentarle s'un prato.
Perchè ho capito,
Fino in fondo,
Che se non sono meraviglie,
Son pur sempre figlie,
Vittime di questo mondo.
𝓐
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