Jovetic: la maledizione del Diez di cristallo
- Federico Roberti
- 24 mar 2020
- Tempo di lettura: 5 min
A volte non è il giocatore a scegliere il numero di maglia, ma è il numero stesso che si plasma sul dorso del giocatore in base alle sue qualità.
E così quando nasci con un numero 10 dipinto sulla schiena, le qualità che possiedi sono veri cristalli, capaci di catalizzare su di loro l’attenzione di tutti con naturalezza e disinvoltura, semplicemente per propria indole naturale. Peccato sia naturale anche la tendenza del cristallo a sgretolarsi.
Niente può fermare un numero diez.
Tranne se stesso.
DA PODGORICA ALL’AMORE DI FIRENZE
Stevan Jovetic nasce a Podgorica, la capitale del Montenegro, il 2 novembre 1989. La sua infanzia è all’insegna della costante e perpetua corsa dietro al pallone, che sbucciandosi le ginocchia e prendendo qualche calcio educativo, ha imparato a controllare sempre meglio.
E così, dopo aver mosso i primi passi nel Mladost Podgorica, all’età di 13 anni e mezzo si trasferisce a Belgrado, pronto per iniziare la sua ascesa nel calcio nazionale prima ed internazionale poi, con la casacca del Partizan indosso.
Per la verità non serve poi così tanto per ritrovare il nome di Joveta sul taccuino dei migliori club europei. Quando la carta d’identità recita 16 anni, Stevan fa il suo esordio con la maglia bianconera: un anno dopo ne diviene il capitano. In quella stagione, la 2007-2008, sigla 16 reti impreziosite da 10 assist, vince il campionato e pure la coppa nazionale.
Ecco spiegato il motivo degli 8 milioni di euro sborsati in estate da Pantaleo Corvino, addetto al calciomercato della Fiorentina. I capelloni ricci d’altri tempi che accompagnavano la corsa del numero 35 brillavano anche nell’iride di Sir Alex Ferguson, che pregustava grandi traguardi per il suo United con il montenegrino in squadra. Ma niente da fare, Jovetic, il 1 luglio 2008, sbarca a Firenze con una montagna di sogni racchiusa nei suoi due raffinati piedi.

La prima stagione è dura, il ragazzo paga la pressione mediatica che ha dovuto sorreggere sulle spalle sin dal suo arrivo (immediatamente paragonato a Rui Costa e Kakà) e la “ differenza tra il calcio serbo e quello italiano, soprattutto tatticamente. All’inizio non conoscevo i movimenti, non sapevo cosa fare in campo, a volte mi perdevo”, come da lui stesso dichiarato. I soli due gol e altrettanti assist nella prima stagione perciò, divisa tra campo e panchina, sono più che giustificati.
Poi il botto. La stagione 2009-2010 è l’anno dell’esplosione. Con 11 gol e 11 assist il montegrino si mostra per ciò che è: uno splendido numero 10 mascherato con il numero 8 solo per la compresenza in squadra di un mostro sacro come Adrian Mutu.
Largo a sinistra, trequartista, seconda punta, prima punta. Non importa dove, il ruolo per uno con quei piedi è solo una formalità; una superflua convenzione che non può limitare l’anima eccentrica del fenomeno.
Controlli fantascientifici, finte di corpo, accelerazioni, strappi e brusche frenate, precisione e intraprendenza. È tutto nel DNA di Jovetic, che intanto per il pubblico fiorentino diventa Jo-Jo. 2 gol al Liverpool, 2 al Bayern Monaco e una costanza di prestazioni sempre più elevata che sembrava non terminare mai. Il futuro si costruiva davanti ai suoi occhi senza nemmeno che se ne accorgesse. Ma poi cambia tutto.
Il destino sa essere beffardo a volte.
In uno scontro di gioco con Bolatti, suo compagno di squadra viola, Jovetic ci rimette il legamento crociato anteriore e il legamento collaterale esterno del ginocchio: 7 mesi di stop e stagione finita ancor prima che fosse iniziata. È un dramma. Il montenegrino rischia di perdersi in un turbinio di sofferenza fisica e mentale, in una spirale di negatività e di buio.
Ma Jo-Jo non si perde e dopo la brusca caduta si rialza con sudore e costanza, volontà e resilienza, che lo trasformano rapidamente da beniamino a idolo indiscusso.
Il 2011-2012 è l’anno dei primi scricchiolii. Il fisico comincia a tentennare con i primi guai muscolari che gli fanno saltare 12 partite, ma non è che l’inizio.
Nella stagione seguente continua a brillare di luce propria e attira su di sé l’attenzione dei grandi club. E così finisce la sua avventura Viola, perché i 5 milioni l’anno che gli vengono garantiti dal City, oltre ai 30 milioni recapitati alla Fiorentina, sono abbastanza per fargli chiudere le valigie direzione Manchester.

CITY, INTER E SIVIGLIA: UN LENTO DECLINO
“La fragilità del cristallo non è una debolezza ma una raffinatezza”, recita una celebre fase del film Into the Wild. Raccontatelo a Jovetic e vedete se è dello stesso avviso.
Il suo talento cristallino trova un tallone d’Achille nella sua fragilità. L’essere paragonati al cristallo è un’arma a doppio taglio che ha ferito troppe volte Stevan, che ha vissuto nell’infermeria inglese i primi sei mesi della sua nuova avventura. Quando non era in tribuna a combattere con il suo fisico era in panchina, sovrastato dai vari Agüero, Dzeko, David Silva, Jesús Navas, Milner, Nasri e Negredo. Una montagna da scalare tra le continue ricadute. Quella stagione la chiude con 6 gol e 2 assist, quella seguente invece con 5 reti, 4 assist, tanti infortuni e troppa tristezza.
Quando l’aria diventa stantia la soluzione migliore è aprire la finestra in cerca di refrigerio. E così Jo-Jo apre la finestra ed esce, direzione Milano.
Con un prestito biennale con obbligo di riscatto, l’Inter decide di arricchire la propria faretra offensiva con la classe e la spietatezza del talento montenegrino, che indossa la propria vera pelle per la prima volta: il numero 10 è finalmente suo.
Le cose iniziano bene, con 3 gol nelle prime due partite, ma peggiorano inesorabilmente con lo scorrere delle settimane. Prima perde la costanza, poi un po' di fiducia in se stesso, infine smarrisce anche la forma fisica: a fine anno i gol sono 7 e gli assist 4.

Poi un tornado di nome Frank De Boer, nuovo allenatore nerazzurro, lo esclude prima dalla lista per l’Europa League e poi lo mette fuori rosa.
È divorzio già all’alba della stagione, che diventa ufficiale quando il Siviglia decide di dare fiducia al 27enne, sperando di farlo maturare definitivamente.
I 6 mesi conclusivi con gli andalusi li marchia con 7 gol e 5 passaggi chiave, che non si rivelano abbastanza per valere il riscatto di 14 milioni.
Le stimmate del campione perciò si sono lentamente trasformate in ferite profonde, apparentemente incolmabili, che lo hanno condannato a vivere in un limbo di sofferenza.

IL PRINCIPE SMARRITO NEL PRINCIPATO
Altro anno, altro orizzonte. Nella sua disperata ricerca di luce, Jovetic ha trovato il Monaco pronto ad accogliere i suoi crucci, con la speranza di trasformarli presto in felicità. Ma la storia è la solita maledetta epopea. A nulla giova indossare la maglia numero diez; la sua stagione è mediocre, influenzata dai soliti stop muscolari. Appena vede il campo di gioco si esalta, segna, fa segnare e delizia il pubblico del principato con la sua classe. Ma il campo lo vede poco. 10 reti e due assist.
Infine quest’anno. La melodia è sempre tristemente monotona. Ancora infortuni, ancora tristezza, ancora sofferenza.
A 30 anni Stevan Jovetic vaga perso dentro se stesso.
Un giovane inarrestabile fermato dal suo stesso fisico.
D’altronde non è sempre bello essere cristallo puro.
E Jo-Jo lo sa bene.
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