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IMMIGRATI CLANDESTINI, PERSONE NON NUMERI

SIRIA. Il nome di questo paese ci ronza nelle orecchie ogni volta che accendiamo la televisione (o almeno questo prima dell’ avvento del Coronavirus), al solo pensiero la nostra mente è pervasa da immagini di guerra, di morte e di devastazione. Vi siete mai chiesti cosa stia succedendo? Quale sia il motivo per cui sentiamo solamente parlare del numero di morti che aumenta? Perchè ogni maledetta volta che ascoltiamo il telegiornale questo nome è sempre presente? Ebbene, la risposta è semplice e ovvia: in Siria vi è un costante stato di guerra da ormai nove anni. Sebbene sia stato dichiarato una repubblica popolare socialista, dal 1971 il paese è stato sottomesso ad un  regime dittatoriale iniziato da Hafiz al-Assad (1971-2000) e oggi continuato dal figlioBassar al- Assad. Nel 2010 in tutto il Medioriente nacque un fenomeno di protesta, definito Primavera araba, da parte dei giovani per ribellarsi  ai soprusi e alla violazione dei diritti. Nel 2011 i risultati di queste ribellioni non si fecero attendere in Siria, in cui le manifestazioni e le rivolte dei cittadini esplosero per le vie di Damasco, ma le conseguenze furono atroci. Al-Assad le represse con una violenza inaudita facendo trucidare centinaia di giovani che per la prima volta dopo decenni avevano trovato il coraggio di denunciare le terribili condizioni sociali in cui versavano. Da questo momento in poi il paese è nel caos: inizia la guerra civile. I ribelli si coalizzarono nell’ ISIL  (esercito siriano libero), contrapposto ad esso vi erano le milizie govenative. I due schieramenti sono ancora oggi in lotta. La situazione  interna si complicò ulteriormente con l’ arrivo dell’ ISIS che iniziò a rivendicare una porzione di proprio dominio dello stato. Possiamo immaginare come il conflitto sia solo potuto peggiorare, facendo così scappare tutti quei famosissimi “immigrati clandestini”  per tutto il Mediterraneo. Mi sono permessa di farvi questo piccolo background storico per ricollegarmi agli ultimi avvenimenti che si stanno verificando proprio ora alle porte dell’ Europa. Coloro che non sono più in grado di sostenere la difficile situazione, appena hanno opportunità scappano, come i topi dopo essere stati rinchiusi in gabbia. Ed è proprio quello che sta succedendo; i migranti scappano, percorrono il Mediterraneo, arrivano a Lesbo dove vi è un grandissimo centro per profughi, ma da lì non possono più andarsene. Sono costretti a rimanere da mesi su quest’ isola perchè il governo greco non vuole ancora farli entrare nel paese a causa della difficile situazione sia pandemica che economica. Sull’ isola è presente uno dei campi profughi più grandi d’ Europa ovvero Moria, che rappresenta il fallimento delle politiche migratorie europee degli ultimi anni. In occasione dei recenti avvenimenti  mi sono voluta concentrare su un argomento di cui pochi parlano: le condizioni psichiche dei migranti, prendendo spunto dall’ intervista di Barberio, psichiatra di Medici Senza Frontiere. I media quando ci propongono le immagini dei campi non parlano delle penose condizioni di vita  di uomini donne e bambini e delle violenze a cui sono sottoposti quotidianamente. Omettono la sofferenza. Gli occhi lucenti dei bambini sono ormai spenti, abituati a guardare il mondo nella sua miseria più assoluta, che li porta a commettere atti estremi come il suicidio. Ragazzini di 10/11 anni si convincono che la loro unica via di uscita sia la morte, ottenibile in diversi modi con pasticche, appendendosi ai pali, pugnalandosi e via dicendo. Sono diverse le testimonianze che ci sono arrivate negli ultimi mesi, come ad esempio quella di Fatima (nome di fantasia) una ragazzina Siriana di 13 anni che dorme con un coltello sotto al cuscino per paura di essere stuprata. Ma questo non è il suo unico problema, da diverso tempo la ragazza combatte contro una depressione acuta che l’ ha portata ad ingerire un intero flacone di pillole cosìda essere ritrovata in preda alle covulsioni sul pavimento di un container, che condivide con altre 25 persone. Un’ altra storia è quella di Nadir (nome di fantasia), ragazzino Siriano di 14 anni, che con un pezzo di vetro si infliggeva tagli e ferite su tutto il corpo e per paura delle cure mediche ha mantenuto il silenzio finchè non è stato aiutato da gli altri abitanti del campo. Un’ altra storia che vi voglio raccontare è quella di Ammar un uomo Siriano, scappato dal proprio paese da 2 mesi con la sua famiglia, che deve combattere per la vita di tutti i giorni nel campo dell’ isola di Samos in Grecia. Ammar racconta che la sua sfida quotidiana è quella di trovare almeno un pasto al giorno per i suoi 3 figli, la moglie e per se stesso. Ma non è affatto facile perchè il cibo all’ interno del campo scarseggia e così in preda alle lacrime confida ai reporter: “ Ci siamo sfiniti al tal punto di desiderare che i nostri figli morissero, per non sentirli piangere dalla fame, perchè incapaci di sfamarli. Al punto da preferire morire tutti insieme, in un solo colpo, per smetterla finalmente di soffrire”. Ecco a cosa porta la disperazione e la povertà dei campi, a far sperare a un  padre che il figlio muoia piuttosto che continuare a soffrire. La moglie di Ammar, Joumana, di 31 anni non parla più. È traumatizzata. Da diversi anni trema e non dorme ma nessuno la sostiene psicologicamente. Perchè? Perchè quando si scappa da una guerra l’ unica cosa importante è sopravvivere alla giornata e così il sostegno psicologico diventa un lusso. Di storie come queste ce ne sono a migliaia ovviamente è impossibile raccontarle tutte, ma il mio intento (spero che sia riuscito) è quello di riportare il flusso migratorio  non come un dato statistico, che involontariamente  ci porta a pensare ai migranti solamente come numeri, ma a dargli un nome, un cognome e una storia così da ricordarci che anche loro sono persone.

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