Il pericolo del romanzare
- Beatrice Nanni
- 11 mar 2021
- Tempo di lettura: 2 min
Certe volte penso che il mondo si trovi laddove non c'è vita; in un buco nero.
In questa tana c'è un uomo visibilmente stanco e distrutto; porta i segni di una vita non vissuta che gli si ritorce contro.
Agisce controvoglia e nemmeno gli piace; l'unico gusto che ci trova è quello di doversi costringere a mandar giù ciò che non vuole.
Ma lo fa.
Continua a farlo per provare qualcosa che non sia quel costante fastidio per la vita che lo mangia dentro e che lo consuma fin da troppo tempo, fin da quando ne ha memoria.
Davanti vorrebbe avere carta e penna, ma non è capace nemmeno in quello. Scarabocchia coi pensieri, macchia e appesantisce con le sentenze che vomita e delle quali è convinto. "Perché lui sa". Ed è questa la sua rovina.
Ma il sapere, in questa circostanza, non è conoscenza; infatti ciò che sa son le cose che non saprà mai.
Lo sa, ma non vuole pensarci.
Eppure trovandosi in quell'abisso, non può far altro che pensarci;
e allora scrive.
Forse per togliersi un peso, ma la soddisfazione dura sempre troppo poco; giusto il tempo che quel pensiero, da sacro che era nel mondo delle idee, prenda forma ed iniziando ad esistere cominci esso stesso a macchiarsi col peso del fastidio dell'essere.
L'uomo strappa il foglio, si strappa il volto.
Ogni torto che compie nei confronti dei suoi pensieri, si ritorce su di lui marchiandolo fisicamente.
Quell'uomo è visibilmente distrutto.
Non è fatto per vivere, anche se infondo vorrebbe.
È sfigurato, per questo sta bene nella sua tana, lontano dagli altri.
Camminare tra la gente, mischiarsi con la folla, gli da un tale senso di inadeguatezza che sembra quasi solo in questo suo rifugio possa trovare pace.
Preferisce abbandonarsi all'inquietudine e farsi cullare dalla malinconia pur di placare il tormento.
Così passa oltre a ciò che lo fa star male.
Manda giù un altro sorso, e poi altri ancora che gli raschiano la gola.
Aspira fumo denso che gli toglie il respiro.
Incide sul foglio e sul corpo ciò che non può spiegare a voce.
E stringendosi il collo, gli si stringe anche il cuore.
E se ha sempre vissuto la [sua] vita nell'immaginazione,
perché non può farlo con la morte?
perché non può farlo con l'amore?
Ecco la nobilitazione dell'anima,
in tutta la sua autodistruzione.
Oscillante tra felicità
e idealizzazione del dolore,
ché nel teatro della mente
non esiste copione.
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