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Il gigante d'acciaio: tra salute e lavoro

Fondata nel 1960 con il nome di Italsider ed estesa per oltre 15 milioni di metri quadrati, per coloro che non lo sapessero, l'Ilva di Taranto (nome che assunse intorno agli anni novanta) è il complesso siderurgico più grande d'Europa e da sola produce lo 0.2% del PIL nazionale.


Ma perché farne menzione? Nel corso degli ultimi anni diverse vicende giudiziarie legate ai disastri ambientali provocati dalle emissioni di polveri sottili dello stabilimento sono finite al centro del dibattito politico italiano. Ma andiamo con ordine. I guai ebbero inizio nel 2012, quando un'indagine sulla popolazione tarantina individuò un notevole incremento del tasso di mortalità tumorale nelle zone circostanti l'Ilva. A seguito di ciò la magistratura aprì un'inchiesta per disastro ambientale cui seguì una momentanea chiusura dell'azienda e un sequestro da 8 miliardi ai beni della famiglia Riva (allora proprietari). Fu la stessa magistratura a definire l'Ilva "causa di malattie e morte in tutta Taranto". Le attività di produzione ripresero poco dopo il sequestro e si prolungarono fino all'acquisizione della fabbrica nel 2018 da parte del colosso francese Arcelor-Mittal. Quest'ultimo tuttavia, impose come condizione al governo l'inserimento di uno scudo penale temporaneo , ovvero semplicemente un'immunità giudiziaria di due anni che garantisse alla multinazionale i tempi necessari per rimettere in regola le emissioni dell'Ilva. E così si giunge alla scorsa estate, quando la Corte Europea dei diritti dell'uomo accoglie i ricorsi di 180 cittadini di Taranto e condanna l'Italia per non aver tutelato la salute dei suddetti. La stessa Corte pertanto obbliga l'abrogazione dello scudo penale. Condizione senza la quale Arcelor-Mittal si rifiuta di gestire l'impianto e pertanto annuncia la volontà di rescindere il contratto firmato e lasciare il tutto nelle mani dello stato. Attualmente è ancora in corso un dibattito tra il governo italiano e i dirigenti del azienda, nel tentativo di giungere ad un accordo e scongiurare una eventuale chiusura della fabbrica.


Per capire la rilevanza dell'Ilva nel nostro paese è sufficiente osservare i dati sulla produzione: ogni anno circa 4 milioni di tonnellate di acciaio vengono smaltite ed inviate ai poli di Genova e Novi Ligure, corrispondente al 14% annuo dell'acciaio europeo. In totale si conta che i lavoratori coinvolti siano oltre 11.000 (di cui 8000 solo a Taranto) e che in caso di chiusura andrebbero persi circa 3.5 milioni di euro, di cui oltre 2 milioni nel meridione. I danni più ingenti li subirebbe sopratutto Taranto stessa: per dirne una, perderebbe il ruolo di snodo marittimo nel commercio dei metalli pesanti.


Il dibattito vero e proprio però verte sulla questione ambientale. Infatti alcune indagini svolte sulla salute dei cittadini di Taranto e dintorni hanno svelato dettagli raccapriccianti riguardo la fittizia opera delle polveri sottili emesse dall'Ilva: non è un caso infatti che solo a Taranto il numero di bambini nati con malformazioni ecceda del 9% rispetto alla media nazionale e che vi sia un rischio del 3% di sviluppare tumori maligni (dato più preoccupante se si considerano solo i lavoratori della fabbrica). Il dato sulle emissioni è altrettanto significativo: solo nel 2014 vennero rilasciate nell'aria 19 milioni di chilo tonnellate di CO2 e 3 milioni di tonnellate di PM10(corrispondente a più del 60% di tutta la PM10 della provincia). In questo folle contesto in cui ricade sul cittadino la scelta tra salute e lavoro, Francesco Romano scrive:

"tra altiforni restiamo abbracciati, noi tarantini ossidati"


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