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I rassicuranti colpi di tosse che al mattino si son fatti lutto

  • 17 apr 2020
  • Tempo di lettura: 4 min

Moriva un anno fa Massimo Bordin, che era, come disse Alessio Falconio: "La voce più importante, più autorevole e più bella, di Radio Radicale".


Raccontando Massimo Bordin, ricordandolo, si rischia di dire delle banalità, si rischia di commemorarlo elogiandolo, cosa che avrebbe di certo trovato insopportabile. E' ciò che oggi, in questo spazio a lui dedicato, vorrei evitare di fare. Credo, però, visto il contesto, visto il giornale per il quale è destinato questo articolo, che sarà molto complicato.

Massimo Bordin nella sede del Partito Radicale

Anche perché su Massimo è stato detto davvero tanto, è stato raccontato dalle persone che gli erano più vicine, così come da chi lo ascoltava ogni mattina andando a lavoro. Massimo Bordin, classe '51, è stato per più di diciotto anni direttore di Radio Radicale, è il padre della rassegna stampa più amata in Italia, Stampa e Regime, conduttore del suo amatissimo Speciale Giustizia per decenni, ideatore delle corrispondenze da Israele con Fiamma Nirestein, o dall'America con Giovanna Pajetta, insieme a Marco Pannella, finché quest'ultimo aveva avuto le forze, era stato protagonista dei pomeriggi degli ascoltatori di Radio Radicale portando avanti la conversazione della domenica. La sua rassegna stampa mattutina non erano mai scontata, i commenti sempre lucidi, quando leggeva i giornali faceva trapelare il suo pensiero, le sue critiche non erano mai commenti personali al giornalista di turno. C'è stato qualcuno che ha ricordato che i giornalisti inserivano negli articoli la parola "radicale" per essere citati durante la rassegna stampa di Bordin, lui stava al gioco, e li citava in quei minuti iniziali durante i quali dava spazio alle notizie relative alle iniziative radicali riportate dai quotidiani. Massimo è stato il protagonista di tutte le mie mattine; di tutti i miei pomeriggi domenicali, sul tavolo della cucina a studiare, Pannella che gridava e Bordin che tentava di arginare il fiume in piena. Più tardi, quando magari mi capitava di dilungarmi sui libri la sera, mi faceva compagnia lo Speciale Giustizia. Bordin apriva e chiudeva tutte le mie, e non solo mie, giornate. Mi piace dire che qualcosa di questa infanzia deve essere rimasto. Massimo era "uno di famiglia", era parte integrante di tutte le giornate, e il 17 aprile scorso per me è stato come perdere un nonno, uno zio, un parente stretto. So che l'Italia è piena di ragazzi come me, cresciuti con Bordin, volenti o nolenti. Ragazzi che, da piccoli, si scocciavano salendo in macchina e ritrovandosi puntualmente a dover ascoltare quella voce roca, ma in fin dei conti rassicurante, costante, calma, che riportava in maniera brillante le notizie del giorno; che cercava, quasi sempre con successo, di scorgere quale sarebbe stato l'esito della giornata. Ogni tanto qualche colpo di tosse e subito dopo le scuse. Spero che chi della nostra generazione ha avuto il privilegio di ascoltarlo possa apprezzare il tipo di giornalismo che faceva, rispettoso della notizia, e che oggi è ogni giorno più raro. Massimo si è spento nei giorni più bui per Radio Radicale, proprio nei giorni in cui l'emittente del vero servizio pubblico lottava contro l'annegamento messo in atto dal Movimento 5 Stelle. Proprio Bordin aveva definito Vito Crimi, allora sottosegretario all'editoria e oggi capo politico dei grillini, Gerarca Minore. E' stata l'ultima delle decine, forse centinaia, di definizioni che Bordin ha tirato fuori dal cilindro e che in una o due parole rendevano tutto chiaro. Al contrario quando la domenica, durante le due ore di conversazione con Pannella, il leader radicale citava solo per nome politici e giornalisti, Bordin si divertiva cercando di completare con il cognome. Voglio concludere riportando il suo ultimo Bordin Line, rubrica che conduceva su Il Foglio: "Capita, a volte la sera, quando si è troppo stanchi o troppo innamorati, di forzarsi a vedere in tv qualcosa che non si era messo in conto. Nel caso specifico ieri si è trattato di “Amore criminale” condotto da quella simpatica delle sorelle Pivetti. Non è il mio programma preferito ma ho capito che il gesto sarebbe stato apprezzato. Mi è andata anche bene perché il programma non era poi male, una volta scontata la inevitabile retorica. Il tema giudiziario ha aiutato ad appassionarmi. Era un caso di stalking e la ragazza era morta dopo aver sporto una ventina di denunce contro un bruto di Terzigno che alla fine gli ha sparato, lasciando il figlio di lei orfano e continuando a minacciarne i parenti. Naturalmente l’hanno arrestato, alla fine verrebbe da dire. La cosa interessante veniva alla fine. Era il titolo del giornale locale: “Solo trent'anni all'assassino di Enza”, il nome della ragazza. Capivo che le cose si mettevano male ma non avrei saputo resistere. Come sarebbe a dire, solo trent'anni? Quanto gli dovevano dare? Il delitto era orribile, senza dubbio, ma se ne conoscono di gradevoli? Naturalmente si dava la colpa allo sconto dovuto al rito abbreviato. C’è una nuova scuola di pensiero giuridico che propone di abrogare il rito speciale e comminare semplicemente il massimo della pena. Potremmo chiamarla la scuola del bruto ma forse ci spingeremmo troppo oltre nella critica. Qualcosa che non funziona però c’è, ci deve essere. Vilmente ho taciuto." Così, quel 2 aprile l'ultimo Bordin Line e l'ultima Stampa e Regime, con i quali ha lasciato il mondo. E l'ha fatto con estrema eleganza, da vero signore quale era, con riserbo, senza far rumore. Ma, comunque, l'intero mondo giornalistico si è inchinato di fronte al grande maestro. Questo a riprova che non serve a nulla fare i segnali di fumo per essere ricordati. Bordin era un grande lavoratore, un grande giornalista, un grande uomo, in tutti i sensi. Oggi, di fronte al servilismo ormai tipico del giornalismo italiano, Massimo ci manca ancora di più.

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