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I giustizialisti si arresteranno a vicenda

"I giustizialisti si arresteranno a vicenda", questo diceva Massimo Bordin, la sintesi perfetta di un pensiero malato come quello del dottor Davigo, del dottor Gratteri, del dottor Travaglio e infine dei due giustizialisti che in questi giorni sembrano volersi arrestare a vicenda: il dottor Di Matteo e il ministro Bonafede. Faccio una premessa: il mondo per quanto mi riguarda è diviso in due grandi famiglie, quella dei garantisti e quella dei giustizialisti. L'appartenere a una o all'altra è parte fondamentale del pensiero, della filosofia e della morale di ognuno; non si tratta solo della giustizia, del giusto processo, del diritto, si tratta del modo di pensare e giudicare che ogni essere umano applica nel quotidiano. Non credo alle vie di mezzo, non credo esistano giustizialisti meno manettari di altri.

Ma vengo ai due personaggi di quella che sembra una fiction, una soap-opera, Nino Di Matteo, membro del CSM e magistrato antimafia, e Alfonso Bonafede, ministro della giustizia in entrambi i governi Conte.

Alfonso Bonafede e Nino Di Matteo

Parlo di fiction perché solo in Italia le parole stupide, inutili, poco credibili, vengono ascoltate. Solo in Italia si ascoltano gli interventi non per il loro spessore, ma perché a pronunciarli è un magistrato. Questo è accaduto. Di Matteo domenica scorsa, nel bel mezzo della trasmissione Non è l'arena, ha deciso di alzare la cornetta del telefono e di chiedere la parola, per comunicare al paese che il ministro della giustizia gli avrebbe proposto due cariche: quella di direttore degli affari penali e quella di capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (DAP), ma una volta che il magistrato aveva indicato al ministro la preferenza per il DAP, Bonafede avrebbe ritirato la proposta. Secondo Di Matteo questo sarebbe avvenuto perché il ministro aveva saputo delle intercettazioni fatte nelle celle del 41bis. I boss esternavano le loro preoccupazioni rispetto alla nomina del magistrato palermitano a capo del DAP. Ci sono però almeno tre particolari, che particolari non sono. Il primo è sicuramente che Di Matteo dice ciò a due anni di distanza rispetto a quando sarebbe avvenuto. Perché? Il secondo dettaglio è che ciò avviene subito dopo la nomina di Bernardo Petralia, dopo che Basentini si era dimesso e dopo che, per la seconda volta, si era mormorato il nome di Di Matteo nei corridoi di via Arenula, ma tutto si era concluso in un nulla di fatto. Perché? Il terzo particolare è che tutto ciò riguarda Nino Di Matteo, a difendere i propri interessi, con grande ritardo e con non poche cose che non tornano, è proprio lui. Lui sarebbe il beneficiario di una posizione di potere che ancora una volta gli è scappata di mano per un soffio, e oggi, per giustificare la mancata nomina insinua il dubbio che sia accaduto per la paura di Bonafede di eventuali rivolte dei boss. Perché? Per altro si sa che i boss al 41bis sono quelli che hanno la migliore condotta, non sono mai loro a scatenare le rivolte, è raro che vengano puniti in carcere.

I giustizialisti si ammanetteranno a vicenda. Perché a seguire la dottrina di Davigo, quella per la quale sono le assoluzioni i veri errori giudiziari, per la quale "gli innocenti sono colpevoli che l'hanno fatta franca", prima o poi si rischia che siano gli amici a piantare il coltello nella schiena.

Caro ministro Bonafede, oggi è lei che ha un coltello piantato nella schiena, è quello del suo amico, il dottor Nino Di Matteo, ci rifletta, magari questa è l'esemplificazione di un pensiero malato. Un pensiero secondo il quale l'abolizione della prescrizione è un atto di civiltà, per il quale l'innocenza fino all'ultimo grado di giudizio e l'eccezione della custodia cautelare, sono dettagli. Dettagli, già, oggi le costano cari.


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