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Grazie Giovanni

Oggi voglio ricordare un grande servitore dello Stato, il cui lavoro per combattere la mafia deve restare vivo nella memoria di ognuno di noi: Giovanni Falcone.

Giovanni Falcone, ancor prima che un eroe (come giustamente noi tutti lo ricordiamo), è stato un servitore dello Stato, un magistrato italiano che grazie al suo innovativo metodo di indagine (negli interrogatori a personaggi mafiosi cercava di “abbassarsi” al loro livello, cercava di vedere le cose dal loro punto di vista, quasi ragionando con la loro testa, imparando a riconoscere i significati e le finalità di gesti, sguardi, parole enigmatiche, anche dei silenzi) ha permesso la realizzazione del primo maxiprocesso alla mafia, il più grande risultato mai avvenuto contro Cosa nostra.

Falcone esamina importanti aspetti di Cosa Nostra come le violenze, che nel corso degli anni sono cambiate. Quest’associazione criminale seriamente organizzata e gerarchizzata, ha saputo evolversi e modificare anche gli strumenti di morte, cercando sempre di scegliere i metodi più facili e meno rischiosi, che non accendessero troppi riflettori sui “soldati” che di volta in volta obbedivano agli ordini, commettendo crimini feroci.

Questa rigida e convinta osservazione agli ordinamenti interni dell’organizzazione è stata per il giudice Falcone anche una lezione di moralità, per certi aspetti…

Ho imparato a riconoscere l’umanità anche nell'essere apparentemente peggiore; ad avere un rispetto reale, e non solo formale, per le altrui opinioniracconta Giovanni Falcone ad una giornalista francese. (intervista presente nel libro “COSE DI COSA NOSTRA”, una raccolta di venti interviste fatte al grande eroe).


Arriva poi quel maledetto giorno, 23 maggio 1992, il giudice Falcone stava tornando a casa da Roma. Un’esplosione squarcia l’autostrada che collega l’aeroporto di Punta Raisi a Palermo, nei pressi dell’uscita di Capaci: 5 quintali di tritolo distruggono cento metri di asfalto e fanno letteralmente volare le auto blindate. Muore Giovanni Falcone.



È così che la tragedia si compie e gli uomini diventano eroi anche se non lo vogliono, in un attimo in cui il mondo si ferma ed il male ne diventa il padrone, un male che ha negato la giustizia, l’ha incatenata. È così che si muore in mezzo ad una strada, tra la polvere e l’odore di tritolo, ucciso perché il male affermi il suo terrore a partire da quel preciso istante. Ed è così, da quel preciso istante che una vita diventa un esempio ed una prova che il coraggio di dire no è in ognuno di noi.

In fondo Falcone non smise mai di essere consapevole che doveva stare costantemente in guardia perché sapeva che la sua lotta contro la mafia sarebbe terminata con la sua morte.

il pensiero della morte mi accompagna ovunque, disse Giovanni alla giornalista.

Vorrei che questa frase rimanesse impressa nella mente di ognuno di noi.

Vorrei che ogni 23 maggio degli anni a venire ognuno di noi si svegli e pensi a questo eroe.

Ognuno di noi deve ammirare la sua determinazione nell’andare avanti in una lotta così complessa con il pensiero della morte ricorrente e costante che tormentava quell’ingegnosa mente.

Dobbiamo pensare al suo estremo coraggio che ha fatto in modo di non volersi mai arrendere.

A Palermo, ancora tutt’oggi, la società sana si mescola con quella mafiosa in un modo sottile e non facile da individuare. Nel tempo Cosa Nostra ha saputo infiltrarsi nelle pieghe della realtà di tutti i giorni, agendo indisturbatamente, acquisendo sempre più forza a causa dell’atteggiamento di tanti che l’hanno sottovalutata.

A causa anche nostra.

Si, perché ognuno di noi crede di combattere la mafia, di avere le idee di Falcone e Borsellino che camminano nei propri passi, ma poi ci si arrende.

Ci si arrende ad un atteggiamento mafioso celato nei piccoli gesti quotidiani, reputati spesso come forma di maleducazione o incapacità o, nei casi più disperati, come normalità. Ci si arrende ad una mentalità mafiosa dove tutto è concesso, dove il proprio “io” è al di sopra di ogni cosa.

Ci si arrende ad un parcheggio in doppia fila, ad una parola, ad uno sguardo, ad un pensiero.

Ci si arrende di fronte all’impiegato che svolge con noncuranza il proprio lavoro. Ci si arrende di fronte ad una mancata emissione di uno scontrino. Ci si arrende alla frase: “100 con la ricevuta, senza 70”. Ci si arrende ai parcheggiatori abusivi, a film o telefilm che mostrano il fenomeno mafioso come una strada bella, da imitare. Ci si arrende di fronte ad una classe politica privilegiata che dichiara la parità di tutti ma che è evidente che sono i primi a non rispettarla. Ci si arrende di fronte a dei lavoratori non stipendiati o addirittura in nero.

Ci si arrende di fronte a chi decide di dire no alla mafia e si ritrova a combattere da solo. Ci si arrende nel silenzio, ci si arrende in molte cose. Molte ci sembrano normali o addirittura banali, cose da niente, ma in verità sono proprio queste cose che fanno sopravvivere la mafia.

Ed è così che da sempre nella nostra terra si muore, abbandonati da chi si serve, traditi da chi sorridendo ci stringe la mano, sangue per sangue, odio per amore, il potere di rubare la vita che sovrasta, l’indifferenza di chi dovrebbe vigilare e la complicità di chi dovrebbe legiferare accompagnano questo processo di morte lenta e sofferente.

È così che anche lui è morto, in una strada normale, in un momento qualsiasi.

E con lui per certi versi è morto anche un po’ del nostro coraggio.

Il 23 maggio proveremo tutti a ricordarci di lui, di chi per noi ha donato tutto quello che aveva, di chi per noi si è opposto a quel male affinché anche noi ne fossimo del tutto liberi.

Grazie Giovanni.








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