Gino Bartali, quando basta una bici a salvare migliaia di vite
- Marco Anastasi
- 25 apr 2020
- Tempo di lettura: 5 min
«Il bene si fa, non si dice» diceva Bartali. Nel vasto e sontuoso mosaico di eventi quale è la storia, vi sono alcuni piccoli grandi uomini, che ne hanno fatta propria con rispettosa umiltà una tessera assai rilevante, talvolta capace di decidere il destino di numerose vite umane. Uno di questi è senz'altro il campionissimo, Gino Bartali.
Gino nasce nel 1914 a Ponte a Ema, nella periferia di Firenze, laddove il tessuto urbano si stempera lasciando spazio alle languide colline toscane. La sua famiglia è tutt'altro che benestante. Il padre, Torello Bartali, lavora faticosamente nei campi ed è legato alla sinistra socialista fiorentina. La madre, Giulia, munita quotidianamente di ago e filo, tesse dei ricami insieme alle due figlie Anita e Natalina al fine di arrotondare il bilancio familiare. Il piccolo Bartali viene al mondo in una società che, lacerata dalla Grande Guerra, trova conforto nello sport ed in particolare, nel ciclismo. Sebbene infatti possa apparire anacronistico (ahimè), nella prima metà del novecento lo sport su due ruote era ben più popolare del pallone ed il sogno di molti bambini era quello di vincere in sella alla propria bici. Terminate le elementari, Gino abbandona gli studi ed intraprende un’attività lavorativa come assistente nell'officina di Oscar Casamonti, l’artigiano che in paese ripara le biciclette. A dodici anni realizza il suo sogno riuscendo ad acquistare una bicicletta usata e malconcia che, grazie a Casamonti, rimetterà in sesto. Da allora il suo impiego diventa quello di portare in bici la posta da una parte all'altra della Toscana, attraversando colline e macinando chilometri ogni giorno. Il suo amore per la bici diventa quasi maniacale: la pulisce ogni giorno, ci dorme insieme, la immerge persino nella vasca con lui. La sua futura moglie, Adriana, racconterà di quando gli chiese chi preferisse tra lei e la bicicletta e lui rispose “tu ovviamente amore” volgendo uno sguardo come di scuse all'altra contendente. Su consiglio di Casamonti, Gino inizia a gareggiare a sedici anni ottenendo una serie impressionante di vittorie. Tuttavia spesso rinuncia alla gloria pur di aiutare economicamente la sua famiglia: capita infatti che si accordi con gli avversari, accettando di arrivare secondo, in cambio del premio del vincitore, in modo da ottenere il denaro del primo e del secondo posto. Nel 1935 Gino gareggia per la prima volta da professionista alla Milano Sanremo (classica più importante d’Italia) e al Giro d’Italia, ottenendo ottimi piazzamenti. All'inizio del '36 vince per la prima volta il Giro d’Italia ma una terribile vicenda scuote il suo animo: il fratello minore Giulio, muore il 14 giugno in seguito ad una caduta in discesa. Bartali è a pezzi, tanto da voler rinunciare al ciclismo. Riprenderà solo grazie alla fidanzata Adriana, a cui sarà estremamente devoto. Da allora trionferà altre due volte al Giro d’Italia ('37 e '46), altrettante al Tour de France ('38 e '48) e quattro volte alla Milano-Sanremo, consacrandosi insieme al grande amico e rivale Fausto Coppi, come monumento del ciclismo italiano e mondiale. Ma paradossalmente non è questo che fa di Gino Bartali il campione che è. Nel 1938 partecipa al Tour de France come unico componente italiano senza tessera del partito fascista. Mussolini e la stampa vorrebbero utilizzarlo come strumento per la propaganda del regime, dopo aver sedotto il popolo europeo con la vittoria nella Coppa del Mondo di calcio. Il duce in persona gli chiede, una volta vinto il Tour, di eseguire il saluto fascista sulle Champs-Élysées. Bartali vince applaudito da mezza Europa, ma invece di tendere il braccio si fa il segno della croce. La stampa non gradisce, il duce ancor meno. Il suo trofeo viene requisito e conferito a Mussolini, mentre lui riceve una medaglia d’onore del fascismo, che in segno di gratitudine getterà nelle torbide acque dell’Arno.

L'anno successivo il partito lo obbliga a ritirarsi dal Giro in seguito ad una caduta. Nel '41 Bartali sposa Adriana e viene convocato da Papa Pio XII, per via della sua devozione religiosa. Il Papa in persona gli propone di prendere parte alla Delasem, l’associazione clandestina istituita per proteggere gli ebrei dalla barbarie nazista. Gino accetta. Il suo compito è quello di portare passaporti falsi da Firenze fino ad Assisi da dove saranno smistati nei monasteri limitrofi. Ognuno di quei passaporti è una vita in meno nei campi di sterminio. Sfruttando la sua popolarità egli riesce ad evitare perquisizioni: i tedeschi lo fermano e gli chiedono un autografo. Nessuno sospetta cosa sia nascosto nel telaio della bici. In fondo, Bartali è un’atleta, deve allenarsi. Dal '43 al '45 si reca ad Assisi più di settanta volte, non proferendo parola della sua attività né ad Adriana né al piccolo figlio Andrea. Ospita però nella sua cantina una famiglia ebrea, i Goldenberg, che gli saranno eternamente riconoscenti. Spesso inoltre durante i suoi viaggi si ferma alla stazione ferroviaria di Terentola, snodo fondamentale per raggiungere il sud Italia ormai liberato. Lì il suo scopo è quello di creare confusione e di animare la folla. Quando qualcuno lo riconosce grida « C’è Bartali! » e tutti si accalcano da lui permettendo a molti passeggeri ebrei di salire sui treni inosservati. Il suo eroismo di questi anni farà sì che nel 1992 il suo nome venga inciso sul Memoriale Yad Vashem di Gerusalemme ed il governo israeliano lo definisca “giusto tra i giusti”. La notizia delle sue attività non fu data mai da lui, perché giova ripetere: «Il bene si fa, non si dice». Come se non bastasse, le imprese di Bartali non finiscono qui. Il 14 luglio 1948, mentre è in corso il Tour de France, in Italia lo studente neofascista Antonio Pallante esplode tre colpi di pistola contro il segretario del partito comunista Palmiro Togliatti, ferendolo gravemente. Scoppiano disordini in tutto il paese con scontri che portano a quasi 800 feriti. Il nostro Gino al Tour è in difficoltà e deve recuperare in poche tappe quasi venti minuti sul leader. Quella sera stessa il ciclista riceve una telefonata: è Alcide De Gasperi, presidente del consiglio. Chiede a Bartali di vincere il Tour per distogliere l’attenzione mediatica dall'attentato. De Gasperi comanda, Gino esegue. Vince il Tour de France con più di quindici minuti di vantaggio compiendo un’impresa ai limiti dell’impossibile. Tutta l’Italia è in festa. Tutti i giornali applaudono l’eroe. L’arcivescovo di Firenze legge la Gazzetta dello Sport nella cattedrale di Santa Maria del Fiore prima di iniziare la messa. Sarebbe ovviamente eccessivo definire Bartali il risolutore della crisi. È però da riconoscere che il suo capolavoro, insieme alla guarigione di Togliatti, ha contribuito a rasserenare gli animi ardenti di un paese spaccato in due. Gino ci lascerà il 5 maggio del 2000, lasciando alle sue spalle una storia che vale la pena raccontare.
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