Che cos'è il gender gap?
- Alice Bernardeschi
- 2 mar 2020
- Tempo di lettura: 3 min
Sicuramente ognuno di voi avrà sentito parlare di questo fenomeno, oggetto frequente di dibattiti accesi soprattutto negli ultimi tempi. Ma di cosa si tratta nello specifico? Detto in parole semplici, il gender gap riguarda il divario, che purtroppo ancora oggi esiste ed è consistente, tra le condizioni di vita degli uomini e quelle delle donne. Si insinua in ogni ambito (economia, politica, educazione, lavoro) e su di esso si basano le principali battaglie dei vari movimenti femministi (e non solo), determinati nel giungere a colmare definitivamente questa piaga che da sempre ci affligge a livello globale. Secondo il “global gender gap report”, uno studio approfondito che ci fornisce ogni anno dati precisi su come questo fenomeno si presenti in ogni paese del mondo, l’Italia (prevedibilmente) non se la passa affatto bene: ci posizioniamo al 70° posto su 149 Paesi analizzati, occupando uno dei tre ultimi posti fra tutti i paesi europei, appena sopra alla Grecia e a Malta. E anzi, slitteremmo ancora più in basso se prendessimo in esame solamente le consistenti differenze numeriche che dividono i salari dei due sessi.

Difatti, probabilmente, l’aspetto che più ad oggi inorridisce, nonché il più discusso e combattuto, riguarda proprio la differenza tra i due generi nella retribuzione lavorativa (il cosiddetto “gender pay gap”): basti pensare che in Europa, le donne guadagnano in un’ora mediamente il 16% in meno degli uomini. Una differenza così sostanziale, in Europa come nel mondo, è dovuta a diversi fattori, in primis (purtroppo) un sostrato ancora ben radicato di pregiudizi nei confronti delle capacità e delle competenze delle donne, non considerate all’altezza di quelle degli uomini (nonostante le donne registrino globalmente una percentuale minore di abbandono precoce degli studi e risultino, di conseguenza, più istruite).
In secondo luogo, i datori di lavoro tendono a remunerare di più quei dipendenti che registrano una maggiore presenza sul posto di lavoro. Un tale requisito non è sempre facile a rispettarsi per le donne, che oltre alla vita lavorativa, tendono a doversi occupare anche di quella famigliare: La maternità rimane, dunque, uno degli ostacoli principali all’ingresso e soprattutto alla permanenza delle donne nel mondo del lavoro. Capita spesso, addirittura, che esse si trovino di fronte ad un bivio, assecondare il loro naturale desiderio di avere un figlio oppure guardare alla propria realizzazione professionale.
Gli uomini, infine, ottengono più facilmente aumenti e promozioni: ad oggi detengono quasi il monopolio dei ruoli manageriali in azienda, ricoprendone più dei tre quarti.
Che fare?
La situazione ogni anno sembra cambiare di poco e niente; secondo uno studio, sarebbero necessari circa 108 anni dal 2018 per giungere finalmente alla totale parità. Eppure ad oggi numerose organizzazioni a livello globale sono state istituite con il solo scopo di risolvere il prima possibile questo problema: tra questi lo UN Entity for Gender Equality and Empowerment of Women, creato nel 2010 dall’Assemblea Generale dell’ONU con l’obiettivo di “promuovere la parità di genere, aumentare le opportunità e combattere le discriminazioni in tutto il mondo”. Per quanto negli obiettivi di questo confluiscano le volontà di tutte le nazioni del globo, non sembra aver mutato troppo significativamente la situazione.
Anche in Europa, ormai da diverso tempo, il gender gap è nel mirino delle istituzioni: nel 2006 viene varato il Regolamento (CE) n. 1922/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, che istituisce l’Istituto Europeo per l’Uguaglianza di Genere, col compito di aiutare le istituzioni europee e gli Stati membri a integrare il principio di uguaglianza nelle loro politiche e a lottare contro la discriminazione fondata sul sesso.
Ad oggi, inoltre, sono molti i movimenti politici di svariato genere che si dibattono strenuamente per ottenere la parità. Essi da tempo propongono soluzioni concrete per accelerare il superamento definitivo del divario, ad esempio concedendo il congedo di maternità anche agli uomini (al fine di estirpare definitivamente il luogo comune che a gestire la vita famigliare debba essere esclusivamente la donna), oppure destinando degli incentivi a quelle aziende che si impegnino a porre sullo stesso piano i dipendenti di ambo i sessi. Per quanto tali soluzioni possano sembrarci valide, tuttavia, ad oggi nessuno si è impegnato a tentare di attuarle: il problema del gender gap non è considerato prioritario e passa in secondo piano, sebbene finché sarà presente, non si potrà parlare di società libera ed egualitaria.
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