Caso Zaki: libertà e diritti violati
- Bianca
- 3 mar 2020
- Tempo di lettura: 2 min

Patrick George Zaki è uno studente come un altro: ha 27 anni, è di nazionalità egiziana e studiava all’Università di Bologna dove viveva da alcuni anni. Un ragazzo che conduceva una vita normale fino al 7 Febbraio 2020, giorno in cui è stato fermato dalle autorità egiziane e, secondo le dichiarazioni dell’EIPR (Egyptian Initiative for Personal Rights), è scomparso per le successive 24h.
Zaki era tornato in Egitto per trascorrere un periodo di vacanza e far visita ai suoi genitori dal momento che studiava in Italia grazie al progetto erasmus Gemma per conseguire un master in “Gender e Women Studies”.
Dopo un primo momento in cui erano state perse le tracce del ragazzo, si viene a sapere che era stato trasferito a Mansoura (sua città natale) dove, come riferiscono i suoi legali, è stato picchiato, torturato, sottoposto a elettro-shock e interrogato sul suo lavoro di attivista. L’accusa? “Diffusione di notizie false, incitazione tentativo di rovesciare il regime, uso dei social media per danneggiare la sicurezza nazionale, propaganda per i gruppi terroristici e uso della violenza”. Accuse molto pesanti che in Egitto sono punibili con l’ergastolo
La decisione di arrestare Zaki è dovuta ad una dura politica repressiva attuata negli anni di governo di Abdel Fattah al-Sisi: Amnesty International già nel Giugno del 2019 aveva pubblicato un’analisi della situazione dei diritti umani in Egitto, si parlava di arresti arbitrari, processi irregolari, torture e sparizioni forzate. Zaki è solo uno dei tanti attivisti sottoposti a queste gravi violazioni, basti pensare al caso di Giulio Regeni. Nel caso di Zaki però il suo arresto è legato all’impegno del ragazzo nella difesa di diritti LGBTQ è al suo stesso orientamento sessuale; in Egitto l’omosessualità non è un crimine, tuttavia non mancano retaggi omofobi e sessisti che portano alla persecuzione di chi si confronta e viene a contatto con la realtà LGBTQ: ad esempio nel 2019 il presentatore televisivo Mohamed Al-Ghaity è stato arrestato semplicemente per aver intervistato una persona omosessuale.
Zaki è ancora incarcerato, il 15 Febbraio il giudice ha rifiutato la richiesta di scarcerazione del giovane che denuncia condizioni di prigionia terribili: «Mi tengono in un posto terribile. Siamo in 35 in una cella con una sola latrina e una finestra piccolissima». Il 22 Febbraio era prevista un’ulteriore udienzadopo che l’avvocato della difesa aveva richiesto la scarcerazione attraverso il pagamento di una cauzione, ma la richiesta è stata respinta; il rischio che si corre è che rinnovando continuamente la detenzione preventiva ogni 15 giorni il caso cada in prescrizione e finisca nel dimenticatoio.
Ma la comunità internazionale si sta facendo sentire: gli studenti dell’Università di Bologna sono scesi in piazza per protestare assieme al sindaco della città e al rettore dell’ateneo.
Ma le proteste non sono circoscritte solo alla città dell’Emilia Romagna: anche le altre università che fanno parte del progetto Erasmus Mundus (Spagna, Ungheria, Regno Unito, Polonia, Olanda) stanno organizzando diversi moti di protesta per portare l’attenzione su questo caso.
Il caso di Zaki, purtroppo, non è isolato e proprio per questo , ora più che mai, bisogna rompere il silenzio e far conoscere a tutti la sua storia, in modo da contrastare questa violenza celata, in modo che non accada un altro “caso Regeni”.
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