BREXIT
- Federico Nanni
- 28 feb 2020
- Tempo di lettura: 4 min
Nazionalismo di ritorno
Il Regno Unito non soffre di solitudine. Il divorzio con l'Unione Europea è diventato ufficiale lo scorso primo febbraio, anche se dovremo aspettare la fine dell'anno per la scissione definitiva. La Brexit è ormai realtà, ma come ci si è arrivati, e cosa l’ha provocata? Quali saranno le conseguenze?
Ex impero coloniale e genitore della maggiore superpotenza contemporanea, il Regno Unito ha sempre cercato di tenersi in disparte rispetto alle altre nazioni europee. Complici la barriera geografica del mare e le grandi distanze che lo separavano dai suoi compagni continentali, il Regno Unito ha sempre perseguito una politica di (splendido) isolamento. Ed è questo isolamento che ha fatto sì che si sviluppassero nel paese grandi tendenze conservatrici, mirate alla preservazione degli interessi nazionali e al protezionismo.
La separazione millenaria sembrava essere giunta al capolinea quando, nel 1973, il Regno Unito faceva il suo ingresso nell'allora Comunità Economica Europea. Ma i primi dubbi non si fecero attendere. Erano trascorsi solo due anni dall'ingresso quando, con un referendum, il primo ministro Harold Wilson invitava il popolo ad esprimersi su un'eventuale uscita dalla CEE. La maggioranza degli inglesi scelse di restare, ma già un imponente 32% chiedeva la rottura.
La sfiducia continuò a dilagare negli anni 80', quando infettò anche la premier Margaret Thatcher. Gran conservatrice e forte euroscettica, la Thatcher non approvava i contributi che il paese era tenuto a versare nelle casse europee.
Era il 1992 e dodici firme su un pezzo di carta davano vita ad una delle più importanti istituzioni che il mondo avesse mai visto: l'Unione Europea. Il Regno Unito era tra i firmatari.
Il tempo passava e i dubbi sembravano diradarsi, almeno fino al primo gennaio 2002, quando entrava in vigore la moneta unica. Quasi unica. Il Regno Unito, insieme a pochi altri stati e forte della superiorità della sterlina, si rifiutò di adottare l'euro.
Nel 2011 l'Unione rafforzò i legami economici con i paesi membri. La riduzione dell'indipendenza economica che ne derivò fu oggetto delle critiche del Primo Ministro inglese David Cameron. Fu lo stesso Cameron, cinque anni più tardi, ad indire il referendum che portò alla Brexit.
Ma facciamo un passo indietro. Abbiamo seguito brevemente la storia dei rapporti tra Regno Unito e comunità europea e dei dubbi che ne sono derivati. Ma se dubbi ed euroscetticismo scorrono da sempre nel sangue inglese, perché la Brexit è arrivata solo ora?
La prima ragione è l’aumento dell'immigrazione. Negli ultimi anni, i flussi migratori verso il Regno Unito sono cresciuti a dismisura, fino a toccare il loro picco massimo. L'elettorato inglese, votando per il leave, mirava alla riappropriazione del controllo dei propri confini. Questo punto è strettamente collegato alla seconda ragione, ossia la riconquista della sovranità nazionale. Negli ultimi decenni, la scena politica dell'isola è stata sempre più dominata da gruppi nazionalisti, sovranisti ed antieuropeisti. Questi gruppi descrivono l’Unione Europea come una minaccia, un problema di cui liberarsi, un Leviatano che non fa altro che appropriarsi delle libertà di cui un tempo la loro nazione godeva. Con la perdita di sovranità, lo stato perderebbe anche capacità d'azione, che passerebbe nelle mani dell'Unione. È questo che temevano gli inglesi mentre sceglievano il leave piuttosto che il remain.
Il referendum per la Brexit arrivò proprio nel momento di massima popolarità di questi gruppi. Ad indirlo, come abbiamo detto, fu David Cameron, leader conservatore fortemente schierato per il remain. Ma se Cameron era schierato contro la Brexit, perché mai avrebbe dato vita al referendum colpevole di averla provocata?
Voleva fare il furbo. Il suo obiettivo era far vincere il remain, ma con un'alta percentuale di leave. Da una parte, attraverso la vittoria del remain, Cameron avrebbe acquistato più prestigio e consensi all'interno del proprio partito. Dall'altra, grazie ad un'alta percentuale del leave, avrebbe dimostrato all'Europa che c'era la concreta possibilità che il Regno Unito uscisse dall'Unione. Per evitarlo, l'Ue avrebbe dovuto sottoscrivere delle condizioni imposte direttamente da Londra, che avrebbero allentato la presa europea sul paese. Purtroppo per Cameron (e per tutti), l'esito del referendum fu diverso da quello previsto. La mattina del 24 giugno 2016 il paese fu svegliato da una (grande?) notizia: il 51% della popolazione ha votato per lasciare; è Brexit.
Cameron (la volpe) rassegnò le sue dimissioni poco tempo dopo.
Protagonista degli anni successivi fu il contrasto tra deal e no deal. I sostenitori del
no deal, come dice il termine, chiedevano un'uscita che non fosse regolamentata
da accordi con l'Unione Europea. Secondo numerosi politici inglesi, questo tipo di
Brexit avrebbe provocato gravi danni all'economia del paese.
E così arriviamo ai giorni nostri. L'attuale premier conservatore Boris Johnson ha (con una mossa democraticamente dubbia) sospeso il parlamento per evitare che i suoi avversari politici bloccassero il no deal. Il 31 gennaio 2020 l'Unione ha votato, e senza sorprese la Brexit è stata definitivamente approvata. Anche se formalmente fuori dall'Unione, tuttavia, il Regno Unito continuerà a partecipare alle più importanti istituzioni Europee fino al prossimo 31 dicembre. In attesa che la rottura divenga definitiva, Londra e l'Unione potrebbero cercare di stringere accordi per rendere l’uscita meno dannosa per entrambe.
Ma quali saranno le conseguenze della Brexit?
Non è semplice prevedere come si evolverà la situazione in futuro. Ci troviamo davanti ad un Regno Unito che da una parte è indebolito dal crollo post-Brexit della sterlina, dall’altra è sempre più vicino alla chiusura di nuovi accordi commerciali con gli Stati Uniti di Trump. Negoziando con l’Unione, il Regno potrebbe riuscire a rimanere nel mercato unico e nell’unione doganale, ma senza le pressioni dall’alto che l’essere nell’UE comportava. D’altro canto, sono molti gli economisti che parlano dei possibili danni della Brexit: inflazione, moneta indebolita e aumento della disoccupazione sono solo alcuni esempi. L’uscita dall’UE, inoltre, ha dato nuova vita alle pretese indipendentiste della Scozia, fortemente decisa a rimanere nell’Unione.
Insomma, ci troviamo davanti ad uno scenario politico ed economico complesso, ancora aperto a numerose conclusioni. Non ci resta che aspettare.
Simone Lo Presti – Maria Eugenia Gargiulo – Federico Nanni
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