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Dal caso Lugli alle proteste a Villa Gordani:le lotte sociali per i diritti femminili non hanno fine

"Donne piccole come stelle, c’è qualcuno le vuole belle.

Donna solo per qualche giorno, poi ti trattano come in un porno.

Donne piccole e violentate, molte quelle delle borgate.

Ma quegli uomini sono duri, quelli godono come muli.”



È così che comincia Mia Martini nel brano “Donna”, perla del cantautorato italiano, classe 1989.

Parole importanti quelle del grande cantautore napoletano Enzo Gragnaniello che da osservatore esterno e del sesso opposto, riesce a raffigurare la visione femminile in una realtà che spesso rende le donne vittime di tutto ciò che le circonda.

Mia Martini tramite una celata sofferenza trasformata in melodia, denuncia i crudeli giochi di potere di cui la nostra società abbandona, raccontando una storia di umiliazioni e di soprusi nei confronti delle donne.

Uno squarcio di una realtà che rimane attuale per molte di esse.

Una realtà che sta lanciando un campanello d’allarme da ormai troppo tempo.

Una realtà che fa emergere la disuguaglianza di genere, la violazione dei diritti umani e la violazione di tutti i diritti per i quali le donne stesse hanno lottato senza tregua.

Donne che non si sono spinte ad agire solamente sul piano legislativo, ma che sono andate ben oltre superando le barriere mentali di una società patriarcale, arrivando a produrre un cambiamento sul piano culturale,intellettuale. (Tina Anselmi, Teresa Mattei, Nilde Iotti solo per citarne alcune...)

Donne che hanno lottato e le loro lotte sociali, ancora oggi, incoraggiano tutti noi a non rimanere indifferenti di fronte a casi dove emerge un regresso civile.

Perché di fronte a vicende, come quella di Lara Lugli, dove regna ancora la disparità di genere è impossibile rimanere indifferenti.



Ma Lara Lugli è solo uno dei tanti esempi che testimoniano la disparità di genere e la violazione dei diritti delle donne.

Lara Lugli, ex pallavolista e capitana della sua squadra nella società del Volley Pordenone in B-1, all’inizio del mese di Marzo del 2018 comunica alla società di essere incinta domandando il saldo dello stipendio di Febbraio, mese in cui aveva continuato a giocare regolarmente portando risultati ottimi alla squadra.

Dopo una serie di richieste ignorate, il suo avvocato inviò un'ingiunzione di pagamento alla quale la società rispose con un atto di citazione che Lugli ha pubblicato su Facebook.




La gravidanza di Lara Lugli è stata considerata “un danno” alla società a causa dei punti persi della squadra nel periodo dell’assenza della giocatrice. La sua gravidanza è stata considerata “in contrasto con gli impegni assunti nell’accordo” e tale mancanza di rispetto verso le obbligazioni sancite nel contratto (se così lo possiamo impropriamente definire), vede dei provvedimenti “proporzionali alla gravità delle singole inadempienze”, ovvero di sanzioni pari al 10 per cento del compenso mensile.

La gravidanza è stata considerata un delitto da punire con una pena.


Di fronte un caso in cui vediamo una violazione dei diritti umani e dei diritti femminili sul lavoro è impossibile far finta di niente.

Un caso che rappresenta la profanazione dell'articolo 37 della Costituzione, articolo per il quale Tina Anselmi si battè nel 1977 al Parlamento Italiano per ottenerne la piena attuazione.

E così la denuncia fatta da Lara Lugli sui social network e alla società in cui giocava, diventa una denuncia collettiva, diventa lotta sociale.

La vicenda è riportata ovunque, la protesta di Lara Lugli viene condivisa dal mondo intero, persino dal quotidiano statunitense The New York Times, facendo emergere spirito di unione civile nell’opinione pubblica.

Il caso di Lara Lugli ha smosso le coscienze su un problema radicato, fin troppo frequente e non solo nell’ambito sportivo.

Un problema che viene contestato nei campi di pallavolo, con la protesta dei colleghi di Lara Lugli nella giornata dedicata al rituale della partita: tutti i giocatori (sia delle squadre femminili, sia delle squadre maschili) di pallavolo della Serie A2, per solidarietà nei confronti della pallavolista del Volley Pordenone, scendono in campo con una palla infilata sotto la maglietta, a simulare una gravidanza.






Un gesto che può sembrare banale ma che vale molto di più di quanto possa lasciar pensare, perché nel suo piccolo è un attacco a un sistema complesso di credenze, valori e tradizioni presente da millenni.

Un sistema contro il quale tutti dobbiamo lottare, per far sì che vengano eliminati gli stereotipi di genere collegati a modelli culturali di mascolinità e femminilità, che causano ogni tipo di violazione e ogni tipo di violenza.

La cessazione della violenza sembra impossibile ma può diventare il principio per il quale azionarsi e cambiare qualcosa nel profondo.


Diventa proprio questo l’oggetto delle proteste che hanno preso luogo al V Municipio di Roma, nel parco del Prenestino in seguito allo stupro accaduto il 5 Marzo 2021 a Villa Gordiani.




Una ragazza di 22 anni viene aggredita la mattina del 5 Marzo (la denuncia è arrivata prima delle otto di mattina) da un uomo, mentre stava facendo jogging nell’area verde al Prenestino.

Non è chiaro se ci fossero altre persone nelle vicinanze, ma dalla sua versione dei fatti l’aggressore sarebbe spuntato all’improvviso afferrandola alle spalle e tappandole la bocca con una mano.

Centinaia di persone, associazioni sociali della realtà di Roma come “Non Una di Meno” e comitati di quartiere sono scesi in strada il pomeriggio del 6 Marzo 2021, per un presidio di solidarietà dove si è consumata la violenza.


Purtroppo anche questo fatto di cronaca è solo un esempio tra i mille, perché il numero dei delitti a sfondo sessuale contro le donne è sempre crescente.

Lo stupro a Villa Gordiani è l’ennesimo stupro di cui sentiamo parlare.

Sì, perché nonostante questi casi oggi vengono sempre più spesso denunciati (dalle istituzioni, dalla stampa, dal mondo digitale e dalla televisione) continuano a ripetersi, sotto ai nostri occhi.


Questo perché come scritto già più volte precedentemente, è causa di una mentalità che deve cambiare. E può cambiare dall’unione sociale nel proprio quotidiano, andando a capire insieme quali sono gli elementi costituenti della cultura patriarcale di cui abbiamo parlato finora e che si insediano all’interno di qualsiasi realtà, per eliminarli.


Proprio come hanno fatto gli uomini partecipanti al Flash Mob che si è svolto nel centro di Roma , in Piazza San Silvestro, alla manifestazione organizzata dal coordinamento Liberare Roma.

Una mobilitazione organizzata per dare un messaggio forte: la voglia di cambiare parte da tutti ma il cambiamento può arrivare solo se tutti portiamo avanti, nel nostro piccolo, le grandi lotte sociali.

Solo se insieme ci assumiamo la responsabilità di cambiare.





 
 
 

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